Articoli e news

Dora Carapellese: giornalisti e addetti stampa, relazioni da riscrivere

“La relazione tra giornalisti e addetti stampa è spesso complessa, fatta di incomprensioni, ma può trasformarsi in un’alleanza preziosa per l’informazione efficace.”

“Il linguaggio tecnico nei comunicati stampa è una barriera. Chiarezza e ‘cinque W’ sono essenziali per un messaggio funzionale e per catturare l’attenzione del giornalista.”

La relazione tra giornalisti e addetti stampa è spesso un campo minato fatto di incomprensioni, aspettative sbagliate e ritmi incompatibili. Eppure, per chi lavora nell’informazione, il confronto con chi comunica dall’altra parte del tavolo è inevitabile e, se ben gestito, può diventare un’alleanza preziosa. Perché non è solo questione di “mandare un comunicato”, ma di conoscere il linguaggio, i codici e le esigenze reciproche.

Un recente corso dedicato ai giornalisti ha messo a fuoco proprio questo: come migliorare la collaborazione tra due professioni spesso più simili di quanto si creda. Oggi, l’addetto stampa è una figura complessa: deve conoscere i media digitali, avere competenze grafiche di base, sapersi muovere tra intelligenza artificiale e nuovi strumenti tecnologici, con in più una robusta dotazione di soft skills. Comunicazione empatica, pazienza, capacità di pianificare e mediare: sono qualità che servono anche al giornalista, ma che l’addetto stampa deve padroneggiare quotidianamente.

Il linguaggio tecnico e poco organizzato è una barriera

Un punto spesso trascurato riguarda il linguaggio tecnico-specialistico. Il comunicato stampa che vuole essere utile non può essere un copia-incolla dal lessico aziendale o istituzionale. Deve essere chiaro, centrato sulle famose “cinque W” (who, what, where, when, why), ma anche comprensibile per chi lo legge con urgenza e selettività.

Lo stesso vale per le mail: oggetto onesto e sintetico, corpo testo impaginato, personalizzazione, link utili e firma riconoscibile. Sembra semplice, ma nella realtà è rarissimo ricevere un messaggio davvero funzionale. E quando ci si aggiunge un linguaggio iper-tecnico e autoreferenziale, il rischio di “non cliccare” è altissimo.

Questo nodo è emerso anche dalla ricerca “The Eye of Journalists on PR 2025” targata Mediaddress: ben il 41,2% dei giornalisti intervistati lamenta che i comunicati stampa sono troppo promozionali o poco rilevanti, mentre il 38,7% li considera non ben strutturati. Ma non è tutto: il 22,8% segnala che il contenuto non è comprensibile o troppo tecnico, a conferma di quanto la chiarezza sia oggi un valore irrinunciabile.

Contatto umano batte automazione

Nonostante l’iper-digitalizzazione, il giornalista cerca ancora il rapporto umano. Lo dimostra la preferenza per canali come la mail personalizzata (77%), seguita da WhatsApp (49%) e le telefonate (44%), come evidenziato sempre dalla ricerca Mediaddress. L’incontro di persona, quando possibile, resta il modo più efficace per costruire fiducia.

Galateo della comunicazione

E proprio la fiducia è l’ingrediente chiave che trasforma un addetto stampa in un interlocutore autorevole. Lo è chi sa mettersi nei panni del giornalista, anticiparne i tempi e i bisogni, rispettare il galateo della comunicazione e agire “in punta di piedi”, che non significa diventare troppo remissivi di fronte al giornalista, ma essere empatici nei loro confronti per raggiungere l’obiettivo di farsi dare attenzione.

Un’alleanza necessaria

Non tutti i giornalisti sono disposti ad ammetterlo, ma l’addetto stampa è parte integrante del loro lavoro. La domanda da farsi, allora, è: come possiamo collaborare meglio?

Forse è il momento di smettere di considerare l’addetto stampa un ostacolo e iniziare a riconoscerlo per ciò che è: una fonte preziosa di contatti, contesti e contenuti verificati. Perché oggi, in un panorama informativo frammentato e veloce, chi sa offrire notizie affidabili e ben costruite è un alleato fondamentale, non un disturbo.

 

Dora Carapellese, Media Relations Specialist www.doracarapellese.it

Foto di copertina: Autore: ROBERTO SALVATORI Copyright: ROBERTO SALVATORI

 

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Webinar

Giornalisti e uffici stampa – Insights 2025

Martedì 25 febbraio Francesca Gavotti e Ugo Malaguti hanno presentato in anteprima la nuova ricerca “The Eye of Journalists on PR 2025.

La terza edizione della ricerca, realizzata da Mediaddress grazie alla partecipazione di oltre 750 giornalisti italiani, spagnoli e francesi, fornisce un quadro aggiornato sui desiderata dei giornalisti nella loro quotidiana relazione con gli uffici stampa di aziende, enti ed agenzie PR, ma anche il loro punto di vista sui nuovi strumenti basati su intelligenza artificiale

Il webinar di presentazione sarà l’occasione per condividere con te i principali insights emersi dall’analisi delle oltre 30.000 risposte fornite dai partecipanti alla ricerca.

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“Giornalisti e uffici stampa
- Insights 2025”

È uscita la nuova ricerca “Giornalisti e uffici stampa – Insights 2025”, terza edizione dello studio The Eye of Journalists on PR
 
Realizzata da Mediaddress grazie alla partecipazione di oltre 750 giornalisti italiani, spagnoli e francesi, la ricerca fornisce un quadro aggiornato sui desiderata dei giornalisti nella loro quotidiana relazione con gli uffici stampa di aziende, enti ed agenzie PR, ma anche il loro punto di vista sui nuovi strumenti basati su intelligenza artificiale. 

The Eye of Journalists on PR - Europe 2025

“Giornalisti e uffici stampa – Insights 2025”

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Articoli e news

Francesca Caon: l’IA va saputa guidare esattamente come l'auto

“Intelligenza artificiale? Maneggiare con cura. DeepSeek? Ha aperto nuovi orizzonti.”

“Notiziabile, accattivante e con il tocco del giornalista: ecco cosa fa aprire un comunicato stampa.”

Intervista a Francesca Caon

Da una parte titolare della CAON Public Relations, dall’altra giornalista autorevole. Con questa doppia anima Caon è nella posizione ideale per cogliere pregi e difetti dei comunicati stampa nell’era dell’IA.

Come PR e Ufficio Stampa in quali settori sei specializzata?

“Mi occupo di ufficio stampa PR con un focus particolare sui settori del lusso, del lifestyle, dell’innovazione e del fintech. Ho lavorato con aziende di design, del settore automotive, delle energie rinnovabili e con realtà tecnologiche in forte crescita. L’approccio che adotto non è mai standard: ogni cliente richiede una strategia su misura, costruita attorno ai suoi obiettivi e al contesto mediatico in cui si inserisce”.

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Come giornalista invece collabori per diverse testate…

“Attualmente collaboro con Huffington Post, L’Identità e Innovando News. Inoltre, dirigo il magazine Luxury People, dedicato alle eccellenze del Made in Italy e al lifestyle di alta gamma”.

Quali sono i 3 difetti imperdonabili di un comunicato stampa che inducono un giornalista a non prenderlo in considerazione?

“Al primo posto la mancanza di notiziabilità: se il comunicato non contiene una vera notizia ma è solo un testo autocelebrativo, verrà ignorato. I giornalisti cercano contenuti di interesse pubblico, non spot pubblicitari mascherati.

Poi titolo e apertura deboli: un titolo poco incisivo e un attacco vago compromettono le probabilità di lettura. Il giornalista decide in pochi secondi se proseguire o scartarlo.

Infine formato e linguaggio inadeguati: testi lunghi, complessi, con errori di grammatica o scritti in un tono troppo promozionale non funzionano. Un comunicato stampa deve essere chiaro, diretto e pronto per essere ripreso”.

Quali sono, invece, i 3 elementi essenziali per un comunicato stampa efficace?

Una notizia rilevante e immediatamente percepibile: il comunicato deve catturare l’attenzione non solo riportando fatti, ma presentandoli in modo che risuonino con chi legge. La storia raccontata deve evocare un senso di urgenza o importanza, rispondendo alle domande fondamentali: chi, cosa, dove, quando, perché. Questo non è solo un racconto di eventi o annunci, ma una finestra aperta su qualcosa di più grande, che spinge il giornalista a voler sapere e scrivere di più.

Struttura chiara e accattivante: oltre a un titolo che cattura l’attenzione e a un lead che invita alla lettura, il corpo del testo deve essere una guida chiara con dettagli importanti senza, però, diventare opprimente. La chiarezza non si limita alla semplicità del linguaggio, ma include la capacità di guidare il lettore attraverso un percorso logico e coinvolgente, dove ogni frase viene costruita sulla precedente per anticipare quella successiva, mantenendo sempre viva l’attenzione.

Valore aggiunto per il giornalista: un comunicato stampa deve offrire più di una notizia; deve fornire un contesto, uno spunto di riflessione o un dato unico che non si trova altrove. Questo valore può manifestarsi sotto forma di insight esclusivi, dichiarazioni uniche o statistiche che illuminano trend e dinamiche non ancora esplorate. Offrire al giornalista non solo informazioni, ma strumenti per creare una narrazione più ampia e profonda, rendendo il comunicato indispensabile e, quindi, pubblicabile.

La combinazione di queste tre qualità può trasformare un semplice annuncio in una storia che merita di essere raccontata, facendo sì che il comunicato stampa non solo venga letto, ma che diventi il punto di partenza per ulteriori indagini e reportage. Questo non solo serve gli obiettivi di chi lo emette, ma arricchisce il tessuto informativo a disposizione del pubblico, elevando la pratica del giornalismo stesso”.

Quanto influisce una mailing list certificata e costantemente aggiornata sul successo della diffusione di una notizia?

“È fondamentale. Inviare comunicati a giornalisti non in target è inutile e dannoso. Una mailing list efficace deve essere segmentata per settore e aggiornata costantemente: sapere a chi inviare una notizia e inviarla con una presentazione personalizzata in base agli interessi del giornalista è tanto importante quanto il contenuto stesso”.

Passiamo ora a un altro tema caldo per i media: l’intelligenza artificiale. Sappiamo che la tua agenzia utilizza l’IA fin dagli esordi.

“Bisogna saper guidare l’IA, esattamente come si guida un’auto: è importante interfacciarsi in modo corretto e sapere esattamente cosa si vuole ottenere. Inoltre, è importante accorgersi subito se il risultato è poco esaustivo o, addirittura, errato. In particolare, nel settore delle PR serve acquisire esperienza per riconoscere un angolo di notizia o un pitch efficace. Solo operando così si possono ottenere risultati davvero utili. L’IA, comunque, rimane uno strumento efficace per migliorare la produttività e per velocizzare i tempi”. 

Quali funzionalità ritieni davvero efficaci e in grado di migliorare concretamente il lavoro degli addetti ai lavori?

“L’analisi predittiva, che permette di capire quali argomenti hanno maggior probabilità di attirare l’attenzione dei media. La generazione di report automatici sulle performance dei comunicati stampa. L’ottimizzazione delle keyword e della SEO per migliorare la visibilità delle notizie online”.

Quali, invece, rappresentano un abuso e rischiano di abbassare il livello della professionalità nel settore?

“L’uso indiscriminato dell’IA per scrivere comunicati stampa senza controllo umano è un problema: il rischio è di produrre contenuti generici, privi di profondità e di valore giornalistico. Inoltre, la personalizzazione è fondamentale nelle PR: nessuna IA può sostituire la sensibilità e l’esperienza di un professionista nel costruire relazioni con i media”.

Esiste un’App o un tool che trovi particolarmente efficace?

“Uso strumenti di IA avanzati per l’analisi dei trend e il monitoraggio della copertura mediatica utili per valutare anche l’impatto delle strategie di PR. Sono una fan anche di TinEye, un software di ricerca inversa in grado di individuare se la stessa immagine è stata già pubblicata su internet e di Fotoforensics, un software di AI gratuito che rileva quelle modifiche apportate da Photoshop che risultano impercettibili ad occhio nudo”.

Meglio optare per le versioni a pagamento o ci si può affidare anche a quelle gratuite?

“Dipende da cosa vogliamo cercare e cosa vogliamo approfondire. Io utilizzo tutte le funzionalità Premium, le versioni a pagamento”.

Cosa pensi della concorrenza cinese, in particolare di DeepSeek, recentemente contestata per problemi di privacy?

“Con il lancio di DeepSeek e del concorrente Qwen di Alibaba la Cina è entrata da protagonista nel settore dell’IA. Deepseek è costata meno di sei milioni di dollari ed è stata realizzata in soli due mesi utilizzando chip di Nvidia a capacità ridotta. Se il paese del Dragone è riuscito a lanciare un modello di linguaggio potente a, al tempo stesso, più conveniente rispetto a quelli statunitensi, siamo di fronte ad una nuova sfida, quella della possibilità da parte delle big tech USA di riuscire a ridurre le spese per la creazione di nuovi modelli di AI e dei data center ad essi collegati”.

L’Europa è davvero più sicura nell’applicazione dei criteri per la tutela degli utenti in relazione all’intelligenza artificiale?

“Dobbiamo premettere che la legislazione UE – pensiamo non solo all’AI Act, ma anche al Data Act, al Digital Services Act e al Digital Markets Act – si è focalizzata sulla protezione dei dati personali degli individui. Ma c’è un problema: la protezione dei dati personali contrasta con il diritto della concorrenza nato proprio nel lontano 1957 con la Comunità Europea. Un’altra domanda da porsi è questa: in futuro si dovrebbero autorizzare operazioni di concentrazione tra imprese anche per semplificare le procedure sanzionatorie in caso di violazioni della privacy degli utenti da parte delle big tech? Anche perché dobbiamo tenere presente che, in questo caso, i dati sarebbero raccolti solo da pochi grandi player del settore”.

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Barbara Amoroso Donatti

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Iscriviti al webinar “Giornalisti e uffici stampa – Insights 2025”

Martedì 25 febbraio, alle ore 11, Francesca Gavotti e Ugo Malaguti presenteranno in anteprima la nuova ricerca “The Eye of Journalists on PR 2025.

La terza edizione della ricerca, realizzata da Mediaddress grazie alla partecipazione di oltre 750 giornalisti italiani, spagnoli e francesi, fornisce un quadro aggiornato sui desiderata dei giornalisti nella loro quotidiana relazione con gli uffici stampa di aziende, enti ed agenzie PR, ma anche il loro punto di vista sui nuovi strumenti basati su intelligenza artificiale

Il webinar di presentazione sarà l’occasione per condividere con te i principali insights emersi dall’analisi delle oltre 30.000 risposte fornite dai partecipanti alla ricerca.

Nel corso dell’evento forniremo il link per scaricare subito l’anteprima della ricerca.

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Marianna Carlini: le relazioni sono un moltiplicatore di opportunità

Per Master Communication il focus è la coerenza tra agire e dire, e tra dire e agire. Questo, unito a sincerità e condivisione del sapere, genera fiducia e vicinanza.

Le giornaliste del team? Sviluppano una comunicazione vicino alle notizieDalla narrazione innovativa delle donne nelle aziende, sono nati due libri.

Abbiamo intervistato Marianna Carlini di Master Communication, che ci ha presentato il suo progetto imprenditoriale nelle media relations, caratterizzato da un fortissimo focus valoriale.

Come nasce Master Communication?

«Master Communication nasce a metà del 2019, dopo circa 18 anni di esperienza nel settore delle pubbliche relazioni e ufficio stampa. Durante e appena terminati gli studi universitari, ho lavorato nella redazione di un’agenzia di stampa, diventando giornalista pubblicista. Dopo aver acquisito sul campo tanta esperienza, volevo provare a esprimermi anche come imprenditrice della comunicazione, costruendo un team, aggregando clienti e incarichi, applicando alla quotidianità di questo lavoro anche i valori in cui credo come persona e professionista.»

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Come distinguersi nell’oceano di contenuti odierni?

«Con una coerenza così forte tra l’agire e il dire, il dire e l’agire, da non poter essere messa in discussione. Questo, unito a sincerità e condivisione del sapere, genera fiducia e vicinanza tra gli interlocutori.»

Quali sono gli incontri funzionali per un’agenzia come la vostra e come coltivarli?

«Chi fa il nostro lavoro sa bene che ogni incontro può essere fonte di ispirazione, confronto, arricchimento, esperienza e, chissà, magari collaborazione

Tra i vostri ‘mantra’ emergono ‘relazioni’ e ‘ispirazioni’. Perché sono importanti le prime nella comunicazione e come utilizzare le seconde?

«Le relazioni sono un moltiplicatore di opportunità e, quindi, di avvicinamento al successo, alla realizzazione dei nostri obiettivi, ma non a senso unico: se nelle relazioni siamo predisposti a dare all’altro, riceveremo anche molto dagli altri. Condividere non significa dividere, ma moltiplicare. Le ispirazioni sono sollecitazioni che nascono dall’osservazione attenta e sempre aperta delle persone, dei luoghi e delle cose, ci aiutano a osservare la stessa cosa da punti di vista differenti e quindi anche a divulgare con un approccio sempre nuovo.»

Come tenere vivo l’interesse dei giornalisti?

«Proponendo loro contenuti seri, utili, corretti, precisi, affidabili ed essendo sempre pronti e tempestivi nelle risposte alle loro esigenze di lavoro.»

Qual è la differenza nella comunicazione verso giornalisti generalisti e di settore?

«Se vogliamo semplificare, i media generalisti sono utili principalmente per la comunicazione al grande pubblico, B2C, mentre quelli specializzati sono più adatti a una comunicazione tecnica, B2B. Ma, come moltissimi aspetti del nostro lavoro, queste suddivisioni non sono mai così nette e definitive.»

Può fare esempi virtuosi di comunicazione?

«Oltre al lavoro classico con aziende di medie e grandi dimensioni, abbiamo ideato un progetto di narrazione innovativa delle donne nelle aziende, da cui sono nati due libri: L’impronta delle donne e Nel nome delle donne. Cerchiamo poi di dare visibilità a progetti di interesse sociale come Impresa Accogliente per il reinserimento sociale delle persone che scontano una pena fuori dal carcere; la Settimana del Pianeta Terra, un festival diffuso su tutto il territorio che promuove nel popolo la conoscenza e il rispetto del patrimonio geologico.»

L’AI è già tra noi: nelle vostre strategie è inclusa nei processi?

«L’AI è sicuramente tra noi e molto più di quello che pensiamo. È utile, ma non indispensabile né – almeno al momento – sufficiente da sé. Noi iniziamo a servircene per abbreviare i tempi di impostazione delle basi di un progetto o di acquisizione delle informazioni necessarie a costruire un contenuto. Risparmiando tempo in queste fasi, abbiamo più tempo a disposizione per i momenti di brainstorming, analisi, confronto, condivisione.»

L’AI sostituirà il giornalismo?

«Credo che anche in questo caso sia e continuerà a essere un potente strumento, sempre più a mano a mano che impareremo a usarla con maggiore efficacia, ma non potrà sostituire le persone.»

Quali sono le figure chiave nel team per sviluppare una strategia di comunicazione efficace?

«Nel nostro team abbiamo persone con estrazione e formazione diverse e scambiamo sempre il punto di vista, portando ognuna il proprio contributo. Tra di noi ci sono alcune giornaliste e questo è importante per gestire i contenuti dei clienti con la volontà, sempre, di costruire qualcosa che sia vicino a una vera notizia. In questi ultimi anni e attualmente stiamo cercando di integrare esperti digital e social che, occupandosi di parti dei progetti dei nostri clienti, permeano il team di nuove conoscenze.»

Qual è il presente e il futuro del Content Marketing?

«Credo che utilizzerà sempre più l’intelligenza artificiale, per personalizzare i contenuti e ottimizzare le strategie. La sintesi sarà centrale. L’integrazione tra contenuti organici e paid media anche. Autenticità e sostenibilità saranno cruciali per costruire relazioni durevoli. Come affermiamo nel nostro payoff: comunicare è un impegno.»

In che modo Mediaddress vi aiuta nel vostro lavoro?

«Usiamo la piattaforma digitale principalmente per la creazione delle mailing list di base e poi interveniamo noi con la nostra conoscenza diretta delle redazioni, analisi e selezione, per affinare e personalizzare le liste.»

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Barbara Amoroso Donatti

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Elena Rabaglio: Greenwashing e Thought Leadership nella comunicazione etica

“Greenwashing, bluewashing, pinkwashing… si abusa sempre più spesso delle parole per sedurre il consumatore.”

“Per comunicare onestamente un brand occorrono etica e competenza.”

Abbiamo intervistato Elena Raboglio di Mediatyche, che sullo storytelling della sostenibilità ha le idee molto chiare: “All’occhio attento non sfugge l’espressione fumosa, e l’azienda ci rimette di credibilità.”

Come nasce Mediatyche?

«Mediatyche è nata nel 2011, Massimo Tafi ed io abbiamo deciso di mettere insieme le nostre esperienze per creare un’agenzia di consulenza diversa, specializzata in comunicazione e sostenibilità. Da qualche anno si è unito a noi anche Tommaso Tafi, terzo socio, che ha arricchito ulteriormente il nostro team con la sua esperienza nella comunicazione politica e in qualità di giornalista. L’agenzia si occupa di brand positioning e comunicazione strategica e aiuta aziende e organizzazioni ad affrontare le sfide reputazionali, oltre a sviluppare progetti di sostenibilità. Siamo appassionati nel raccontare storie che ispirino e trasformino. Crediamo fermamente che comunicare con autenticità e passione sia fondamentale per influenzare positivamente e promuovere un cambiamento reale».

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Tra i focus delle vostre campagne di comunicazione emergono ‘sostenibilità’ e ‘creazione di valore’. Come si comunicano concetti così complessi?

«Quando parliamo di “sostenibilità” e “creazione di valore” nelle nostre campagne di comunicazione, sappiamo quanto sia importante affrontare questi concetti complessi in modo chiaro e accessibile. Il primo passo è far comprendere cosa significhi sostenibilità perché è un concetto non ancora acquisito anche se sulla bocca di tutti. Questa conoscenza diventa la base su cui costruiamo tutta la nostra comunicazione. Il nostro obiettivo, che è anche il purpose dell’agenzia, è tradurre questi concetti in storie coinvolgenti e autentiche, che possano ispirare e motivare il cambiamento. Tra l’altro stiamo assistendo a una trasformazione rapida nella comunicazione sulla sostenibilità, anche dovuta alle nuove normative.
Se dovessi riassumere alcune strategie pratiche che utilizziamo per comunicare la sostenibilità delle aziende clienti, direi:
Chiarezza: comunicare in modo chiaro, evitando termini tecnici che possono confondere
Storytelling: Utilizzare storie reali per rendere la sostenibilità concreta
Onestà: essere sempre trasparenti e mai autoreferenziali
Aggiornamenti regolari: mantenere un dialogo costante con gli stakeholder
Visual: usare infografiche e video per rendere i temi complessi più comprensibili
Coerenza: assicurarsi che la comunicazione sulla sostenibilità si integri perfettamente nei valori del brand
Dati e statistiche: presentare numeri concreti e non promesse vaghe»

Che cos’è il greenwashing e perché dilaga?

«Il termine greenwashing descrive una pratica ingannevole in cui aziende o individui si presentano come sostenibili, pur non avendo realmente intrapreso azioni significative per ridurre il proprio impatto ambientale. In sostanza, si tratta di una facciata che maschera comportamenti non sostenibili. Purtroppo, il fenomeno è in crescita. Diverse indagini, limitate solo alla sfera ambientale hanno rilevato che una percentuale significativa di dichiarazioni – circa il 53,3% – sono vaghe, fuorvianti o infondate. Inoltre, in più della metà delle dichiarazioni di sostenibilità esaminate, le autorità non hanno trovato sufficienti elementi a supporto delle affermazioni fatte.
Ma oltre al greenwhasing esistono diverse altre declinazioni del termine washing, che si applicano a vari ambiti, ognuna delle quali riflette pratiche ingannevoli da parte delle aziende per migliorare la propria immagine senza sostanziali impegni reali.»

Bluewashing

«Il bluewashing è emerso in relazione al programma UN Global Compact dell’ONU, che stabilisce norme non vincolanti riguardanti sostenibilità etica e ambientale. Le aziende possono facilmente affermare di aderire a questi principi, ma il problema è che il rispetto di queste norme è spesso superficiale e non ci sono meccanismi di controllo per verificarne l’effettiva applicazione. Così, aziende poco impegnate possono vantarsi di aderire a standard che non costringono realmente a cambiamenti significativi

Pinkwashing

«Il pinkwashing è un termine originato da un’associazione per la lotta contro il cancro al seno, usato per descrivere aziende che si presentano come sostenitrici della causa mentre traggono profitto dalla malattia, magari promuovendo prodotti dannosi. Questo concetto si è ampliato per includere qualsiasi iniziativa che sfrutti temi sensibili, come i diritti delle donne o della comunità LGBT, senza un reale impegno a favore di queste cause, spesso definito anche rainbow washing

Sciencewashing

«Il sciencewashing implica l’uso ingannevole di pratiche scientifiche per dare l’illusione di qualità e validità. Si manifesta in settori come il marketing della bellezza o degli integratori alimentari, dove i prodotti vengono etichettati come “scientificamente provati” senza alcuna prova concreta. Spesso si ricorre a termini scientifici complessi per impressionare i consumatori, anche quando le affermazioni non sono supportate da studi affidabili.»

Socialwashing

«Infine, il socialwashing riguarda le azioni che le aziende intraprendono per migliorare la propria reputazione attraverso iniziative sociali o di volontariato. Queste iniziative possono sembrare benefiche a prima vista, ma in realtà potrebbero non avere un impatto reale o positivo. Talvolta, l’obiettivo è esclusivamente economico, utilizzando queste attività come un modo per guadagnare visibilità e profitto piuttosto che per contribuire genuinamente al bene comune».

Tornando al greenwashing…

«Per contrastare questa pratica, nel febbraio 2024 è stata approvata una nuova Direttiva europea contro il greenwashing. Questa normativa vieta affermazioni vaghe e non comprovate come “ecologico” o “naturale” e regola l’uso delle etichette di sostenibilità, consentendo solo marchi basati su schemi di certificazione ufficiali.
Navigare nel mondo della comunicazione della sostenibilità può sembrare come muoversi in una giungla, ma non bisogna preoccuparsi e affidarsi a dei consulenti preparati che possano guidare le aziende nella giusta direzione».

Come possiamo individuare una campagna di greenwashing?

«Individuare il greenwashing è fondamentale per fare scelte consapevoli e sostenibili. Provo a riassumere in sei punti come individuare il fenomeno:
1. Cercare prove concrete
Una dichiarazione ecologica legittima deve essere supportata da prove verificabili. Le aziende devono fornire informazioni chiare e accessibili sulle loro pratiche ambientali, come certificazioni da terze parti, rapporti dettagliati e dati trasparenti sulla filiera. Diffidate dei claim che non sono supportati da prove concrete o che sembrano vaghi.
2. Attenzione al linguaggio vago
Termini come “eco-friendly,” “naturale” o “green” spesso vengono utilizzati senza definizioni chiare. Possono essere fuorvianti se non accompagnati da dettagli specifici su come il prodotto o l’azienda soddisfano tali promesse. Ad esempio, un prodotto etichettato come “naturale” non implica necessariamente che sia ecologicamente sostenibile o sicuro.
3. Verificate se ci sono compromessi nascosti
Alcune aziende mettono in evidenza un aspetto positivo di un prodotto ignorando altri impatti negativi significativi. Un prodotto potrebbe essere pubblicizzato come fatto con materiali riciclati, ma il processo di produzione potrebbe essere altamente inquinante. È importante considerare l’impatto ambientale complessivo di un prodotto, dalla produzione all’uso fino allo smaltimento.
4. Valutate la coerenza negli sforzi di sostenibilità
Un’azienda veramente impegnata nella sostenibilità avrà pratiche coerenti in tutte le sue operazioni. Le incoerenze possono essere un segnale di allarme, come quando un’azienda promuove prodotti “net-zero” semplicemente acquistando crediti di carbonio. Una comunicazione trasparente e coerente è un segno di responsabilità ambientale autentica.
5. Analizzate l’uso di immagini
Il greenwashing spesso si avvale di immagini e branding fuorvianti. Foto di paesaggi naturali, colori verdi e simboli eco-friendly possono creare un’illusione di sostenibilità, ma non sempre riflettono le pratiche reali dell’azienda.
6. Verificate l’impegno complessivo dell’azienda
Ricercate il passato ambientale dell’azienda. Un’azienda davvero impegnata avrà una politica ambientale completa, obiettivi misurabili e relazioni regolari sui progressi raggiunti. Cercate rapporti di sostenibilità dettagliati che coprano tutti gli aspetti del loro impatto ecologico».

Come si mantiene vivo l’interesse dei giornalisti nel tempo?

«Parlando di sostenibilità, è fondamentale partire dalla formazione e dall’aggiornamento costante. I temi della sostenibilità abbracciano questioni ambientali, ma anche aspetti molto più ampi come il benessere, la qualità della vita e lo sviluppo economico e sociale, in linea con i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU.
Il giornalista infatti ha un compito molto importante: deve non solo comprendere e raccontare un mondo in rapida evoluzione, ma anche assumere il ruolo di educatore. È chiamato a guidare l’opinione pubblica nella comprensione delle sfide e delle prospettive legate alla sostenibilità, contribuendo a formare una coscienza collettiva più informata e consapevole. Questo richiede una narrazione chiara, approfondita e capace di stimolare il dibattito su soluzioni concrete per un futuro più sostenibile».

Gli influencer sono funzionali nei settori che trattate?

«Per i clienti che trattiamo in agenzia, prevalentemente B2B, puntiamo sul concetto di thought leadership, ovvero una strategia di content marketing che mette in evidenza l’esperienza, le intuizioni e la visione di un individuo o un’organizzazione su un tema specifico. L’obiettivo è educare, ispirare e influenzare il pubblico attraverso informazioni di valore, idee innovative e opinioni autorevoli.
In settori complessi come quelli dei nostri clienti, questo approccio è particolarmente efficace. La thought leadership permette di avviare discussioni, sensibilizzare su temi importanti e promuovere la collaborazione tra diverse parti interessate. È un modo per influenzare comportamenti, pratiche aziendali e decisioni politiche, consolidando al tempo stesso la reputazione e la credibilità dell’azienda».

Ci può degli esempi virtuosi di comunicazione sulla sostenibilità aziendale o di un progetto?

«Da anni nei nostri progetti, prevalentemente di sostenibilità sociale, siamo fortemente impegnati nello sviluppo di partnership strategiche con il terzo settore. Crediamo fermamente che oggi non si possa più parlare di business e non-business come mondi separati. Chi lo fa, probabilmente, adotta ancora schemi interpretativi ormai superati. Un progetto di CSR di cui siamo molto orgogliosi, è quello che da anni portiamo avanti con il Gruppo Lactalis: “La Coscienza di Zeta”. Nell’edizione 2023 abbiamo lavorato insieme all’associazione Laboratorio Adolescenza coinvolgendo 6 istituti superiori di altrettante città italiane dove Lactalis è presente con i propri stabilimenti; il progetto ha coinvolto circa 130 studenti, tra i 15 e 18 anni, a cui è stato chiesto di pensare ad un progetto di riqualificazione di un luogo della loro scuola o della loro città affinché diventasse luogo di socializzazione e condivisione per i coetanei e per la cittadinanza e di presentarlo attraverso la realizzazione di un breve video.

Il progetto ha avuto una ricaduta positiva sul territorio poiché ha permesso di coinvolgere anche associazioni locali e le amministrazioni di alcune città, in particolare Parma, Lucca hanno ottenuto un riconoscimento in denaro da Lactalis per la loro realizzazione. Tra queste riqualificazioni, l’inaugurazione della parte del Parco delle Magnolie di Parma, riqualificata secondo il progetto dei ragazzi dell’Istituto Bodoni. All’evento hanno partecipato l’amministrazione locale e la cittadinanza. Il progetto La Coscienza di Zeta ha ottenuto anche una buona visibilità attraverso i media nazionali e locali e i canali social».

IA è già tra noi: nelle vostre strategie è già inclusa nei processi?

«Sì, l’intelligenza artificiale è già tra noi, ed è sicuramente un potente facilitatore. Sta migliorando processi in molti settori, rendendo le operazioni più veloci. Tuttavia, dobbiamo essere molto attenti a come viene implementata quando parliamo di sostenibilità e inclusione.
Negli USA, dal 2023, stiamo osservando un preoccupante fenomeno: numerosi tagli nei team DEI (Diversity, Equity, and Inclusion), con riduzioni di personale e budget che arrivano fino al 90%. Alcune delle big tech stanno spostando la loro attenzione sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale, sacrificando così l’impegno verso la diversità e l’inclusione. Questo può avere impatti negativi non solo sulla responsabilità sociale delle aziende, ma anche sull’equità dell’IA stessa.
La situazione è particolarmente critica perché, in un momento in cui l’intelligenza artificiale avanza a ritmi impressionanti, il fatto di ridurre il personale DEI e di non avere rappresentanti delle comunità sottorappresentate nei processi decisionali potrebbe portare a un’IA che amplifica le disuguaglianze. Se chi sviluppa queste tecnologie non riflette la diversità del mondo reale, c’è il rischio di creare squilibri di potere ancora maggiori, sia per i lavoratori delle aziende, sia per i consumatori che utilizzano i loro prodotti».

 

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Barbara Amoroso Donatti

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Articoli e news

Cecilia Zanasi di Zedcomm: essere trasversali premia il racconto del vino

Ispirarsi ad altri settori? Fondamentale per emergere sul mercato del vino.”

“La capacità di rinnovarsi nasce dalla passione per il proprio lavoro.”

Una carriera iniziata nell’eyewear, quella di Zanasi, che si è rivelata, a sorpresa, efficace per raccontare il mondo del vino in modo diverso, qualcosa di ricercato dalle stesse aziende.

Ci racconta brevemente la storia del suo lavoro come PR/Ufficio stampa del settore vino?

«È una storia un po’ anomala rispetto ad altre agenzie che seguono questo settore. Ho iniziato la mia carriera nel mondo della comunicazione lavorando per la principale casa editrice americana legata al settore dell’eyewear. Poi – dopo questa decennale esperienza – ho deciso di fondare la mia agenzia di comunicazione in Italia, seguendo in particolare il mondo dell’occhialeria, ma anche della moda e del design. E proprio questa trasversalità ci avvicina al mondo del vino: una quindicina di anni fa, una prestigiosa cantina altoatesina stava cercando un’agenzia che ragionasse fuori dagli schemi, non troppo legata alle dinamiche consolidate della comunicazione del mondo enoico. Ci siamo conosciuti grazie a un contatto comune e da allora abbiamo collaborato per oltre 10 anni, facendo tesoro delle esperienze in altri settori e costruendoci così una professionalità alternativa. Da lì, ho capito l’importanza di raccontare storie autentiche, che non solo descrivano il prodotto, ma trasmettano le tradizioni, la passione e il territorio che si cela dietro ogni bottiglia. Abbiamo lavorato – e tuttora lavoriamo – con aziende di diverse dimensioni e con consorzi, aiutandoli a posizionarsi nel mercato nazionale e internazionale, creando relazioni solide con giornalisti, critici enogastronomici e influencer del settore».

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Qual è stato il focus della comunicazione del vino nel 2024?

«Negli ultimi anni le cantine si sono rese conto di come comunicare fosse diventato indispensabile, a prescindere dalla propria dimensione. Puoi fare un ottimo vino, ma se non lo conosce nessuno è come non farlo: il mondo enoico va raccontato e va vissuto. Il 2024 è caratterizzato da un focus sempre maggiore sulla sostenibilità e sull’innovazione. I consumatori sono sempre più attenti all’impatto ambientale e sociale delle loro scelte, e lo stesso vale per i giornalisti. Comunicare il valore della sostenibilità, dal vigneto alla bottiglia, è cruciale. Inoltre, la digitalizzazione continua a giocare un ruolo fondamentale, sia in termini di e-commerce che di storytelling attraverso i social media. Le cantine devono essere in grado di raccontare la loro storia non solo attraverso il vino, ma anche tramite esperienze immersive e interattive che coinvolgano il pubblico».

Come individuate i punti di forza di un prodotto e i suoi destinatari? 

«Per individuare i punti di forza di un prodotto è essenziale partire dalla sua unicità. Questo può derivare dal territorio, dal metodo di produzione, dalla varietà di uva utilizzata o dalla storia della cantina stessa. Un’analisi accurata del mercato e dei competitor è altrettanto importante per capire quali aspetti valorizzare maggiormente. Inoltre, è fondamentale entrare in sinergia con il cliente, vedersi di persona, andarlo a trovare in Tenuta, farsi raccontare il lavoro, i sogni, le ambizioni: attraverso lo storytelling si riesce a cogliere l’essenza di quella realtà e di quella produzione, a noi poi l’onere e l’onore di trasformare tutto questo in una strategia di comunicazione».

Come si mantiene vivo l’interesse dei giornalisti intorno a un progetto, a un prodotto, nel tempo?

«È un po’ come nelle storie d’amore: bisogna impegnarsi, essere costanti e al tempo stesso trovare sempre nuovi spunti e nuovi stimoli. Creare una relazione di fiducia con i giornalisti è cruciale: bisogna essere trasparenti, disponibili e rispettare i tempi e le esigenze della stampa. Inoltre, è importante innovare continuamente nella comunicazione, offrendo spunti interessanti e non ripetitivi. È fondamentale, anno dopo anno, riuscire a comunicare la cantina sotto un’angolazione diversa: una volta è un nuovo vino, l’altra una nuova vigna, altre volte semplicemente far parlare chi ci lavora, non solo la proprietà, ma anche l’enologo o l’agronomo che possono offrire un approfondimento su dinamiche differenti, legate alla sostenibilità, alle strategie di biodiversità…».

Che differenza c’è quando si comunica a giornalisti generalisti anziché di settore?

«I giornalisti del settore sono il punto di riferimento per comunicare notizie più tecniche e approfondite, come nuove annate, cambiamenti nei processi di vinificazione o premi ricevuti. Sono loro che possono comprendere appieno le specificità del prodotto e dare risalto alle sue caratteristiche uniche. I giornalisti generalisti, invece, sono più indicati per temi più ampi e di interesse collettivo, come eventi, iniziative legate al territorio o storie legate al mondo del vino che possano coinvolgere un pubblico più vasto. Il momento giusto per rivolgersi agli uni o agli altri dipende quindi dal tipo di messaggio che si vuole trasmettere e dal target di riferimento».

Giornalisti e influencer: perché e quando rivolgersi agli uni o agli altri?

«Giornalisti e influencer hanno ruoli complementari. I giornalisti offrono una copertura più istituzionale, ideale per comunicazioni ufficiali e per raggiungere un pubblico interessato alla qualità e alla credibilità delle informazioni. Gli influencer, d’altro canto, permettono di raggiungere un pubblico più ampio e giovane, spesso più reattivo e propenso a interagire con il brand. Rivolgersi agli influencer è particolarmente efficace per lanciare nuovi prodotti, partecipare a trend social o creare contenuti virali. Tuttavia, è importante selezionare con attenzione gli influencer, preferendo quelli con un pubblico in target e un’autentica passione per il vino».

Ci può fare alcuni esempi virtuosi di comunicazione nel vino?

«Definisco virtuose quelle campagne di comunicazione nel settore vino in grado di unire tradizione e innovazione. Sicuramente un elemento di successo degli ultimi anni è quello di alcune cantine che hanno utilizzato le tecnologie di realtà aumentata per offrire tour virtuali dei loro vigneti e cantine, permettendo ai consumatori di vivere un’esperienza immersiva anche a distanza. Anche in questo caso penso che la trasversalità e il dialogo tra settori differenti costituiscano una strada virtuosa di comunicazione come, per esempio, le collaborazioni di alcune cantine con progetti di arte o con chef stellati e ristoranti di alto livello, che hanno creato eventi esclusivi in grado di attirare l’attenzione sia della stampa di settore che generalista. Tra i nostri progetti virtuosi segnalo l’importante attività di incoming di giornalisti internazionali in occasione del Ciliegiolo di Maremma e d’Italia o la creazione di un evento Oltrepò Terra di Pinot nero, ideato a quattro mani con il Consorzio: un’idea per valorizzare le produzioni di eccellenza di un territorio spesso sottovalutato».

Cosa vede nel futuro della comunicazione del settore vino?

«Il settore sarà sempre più orientato verso la personalizzazione e l’interazione diretta con il consumatore. Le tecnologie digitali continueranno a evolversi, offrendo nuovi strumenti per raccontare la storia del vino e coinvolgere il pubblico. La sostenibilità resterà un tema centrale, così come la capacità di adattarsi alle nuove esigenze dei consumatori, che richiedono autenticità, trasparenza e valore aggiunto. In un mondo sempre più competitivo, sarà essenziale differenziarsi attraverso una comunicazione creativa e coinvolgente, capace di trasformare ogni bottiglia in un’esperienza unica».

L’IA sostituirà i giornalisti?

“Bella domanda. Io credo di no, penso invece che potrà aiutarli sia nel lavoro di stesura dei palinsesti editoriali sia nel lavoro di ricerca e verifica di fonti e informazioni.”

Quali sono le figure chiave per sviluppare una strategia di comunicazione efficace?

“Credo che in un team interno/esterno che si occupa di comunicazione a qualsiasi livello debbano essere presenti almeno 5 figure: uno strategist, un direttore creativo, un esperto di relazioni pubbliche (tradizionali e digital) un social media manager e un prompt designer.”

Come immagina il futuro del Content Marketing?

“Il contenuto è e sarà anche in futuro il Re ma non possiamo dimenticarci del suo Regno, ovvero della distribuzione. Saper creare contenuti coerenti e sinergici tra di loro in termini di storytelling aziendale o di marca, ma “tagliati” in formati e modalità specifiche in funzione dei diversi canali e pubblici sarà la spina dorsale di un’attività di content marketing efficace.”

In che modo Mediaddress vi aiuta nel vostro lavoro?

Possiamo dire che nel tempo Mediaddress è diventato uno strumento indispensabile per mappare i giusti interlocutori all’interno del vasto panorama editoriale italiano, al fine di poter garantire ai nostri contenuti la miglior visibilità possibile.”

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Barbara Amoroso Donatti

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