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Assoinfluencer: gli influencer hanno la loro associazione di categoria

La nostra intervista-inchiesta giornalisti vs influencer ha risposto a diversi quesiti, scatenando numerose riflessioni e commenti di giornalisti, influencer e comunicatori.

Anche alla luce del recente caso Ferragni, abbiamo intervistato il presidente di Assoinfluencer, Jacopo Ierussi, per conoscere meglio questa nuova categoria professionale.

Jacopo Ierussi, presidente di Assoinfluencer

La nostra intervista-inchiesta giornalisti vs influencer ha risposto a diversi quesiti, scatenato riflessioni, muovendo commenti di giornalisti e non. Tra i giornalisti c’è chi ha colto l’occasione per esprimere un parere sulla concorrenza dei due ambiti, tra gli influencer c’è chi ha manifestato apprezzamento per un articolo in cui si parlasse di loro in modo non stereotipato. 

La comunicazione ha ormai in tutto il mondo ‘un piede in 2 scarpe’, con la complicazione italiana dell’esistenza dell’Ordine dei Giornalisti con deontologia e formazione obbligatorie, che pongono su livelli diversi i professionisti dei due ‘fronti’: promozionale vs informativo. 

In America ad esempio l’ordine non esiste formalmente, eppure chi intraprende la carriera giornalistica, deve dimostrare la propria autorevolezza e credibilità, e gli influencer sono rappresentati dall’American Influencer Council. Il fenomeno in ascesa degli influencer è ormai inopinabile, ma poco se ne parla in termini professionali e di categoria. 

Abbiamo perciò raggiunto il presidente di Assoinfluencer, Jacopo Ierussi, per conoscere meglio la nuova categoria professionale, iniziare a fare ordine in un mare magnum che rende difficile agli uffici stampa distinguere le figure adatte a intercettare inviti e comunicazioni. Ecco cosa è emerso dal nostro confronto.

Qual è lo scopo di Assoinfluencer?

“Assoinfluencer è la prima realtà in Italia costituita per rappresentare gli influencer in genere (Instagrammer, YouTuber, Streamer, etc.) e per promuovere la categoria ha stretto diverse partnership strategiche con soggetti di primo piano ed aventi caratura nazionale. La nostra è un’associazione di categoria professionale che, dopo un periodo di esame, è stata inserita dal Ministero dello Sviluppo Economico nella Sez. II dell’elenco ex L. n. 4/2013, ottenendo così il riconoscimento più alto che quest’ultimo possa conferire ad una realtà che rappresenta le professioni non organizzate in ordini o collegi. 

Siamo parte di Confcommercio Professioni, ovvero la Federazione di settore di Confcommercio – Imprese per l’Italia che riunisce le associazioni professionali del sistema confederale. Abbiamo anche già avuto modo di intervenire in Parlamento nel corso di indagini conoscitive avviate su ambiti di specifico interesse per la categoria a cui forniamo numerosi servizi dedicati”.

Esistono associazioni simili negli altri paesi? Hanno la medesima funzione?

“Allo stato attuale soltanto l’American Influencer Council negli USA”. 

Influencer o content creator? Affinità e differenze.

“Non esistono differenze mentre le affinità sono automatiche. Il termine content creator digitale definisce l’azione che origina l’interazione su una piattaforma social media. Chiunque diffonda un contenuto online è conseguentemente un creator così come chiunque faccia arte è un’artista. 

A trasformare un creator in un influencer è la capacità di arrivare al pubblico per una finalità professionale, per l’appunto, influenzandolo grazie alla propria creatività. Perciò la prima è la macro categoria mentre la seconda è la micro categoria che, a propria volta, si suddivide in streamer, blogger, youtuber, tiktoker, etc.”

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La deontologia dell’influencer cosa prevede? 

“Prima di tutto il rispetto delle regole stabilite dall’Antitrust e la trasparenza verso il consumatore. A ciò aggiungo che il nostro Codice Etico non lascia spazio ai comunicatori di odio perché la loro influenza non ha e non può avere finalità professionale che prevalga sull’assenza di moralità. È un documento complesso che ci ha permesso di ottenere il riconoscimento ministeriale attualmente in nostro possesso.”

Monitorate che venga rispettata? E se non avviene come intervenite?

“Tramite segnalazioni che riceviamo dagli utenti e, a tal pro, abbiamo siglato una partnership con l’Unione Nazionale Consumatori presieduta da Massimiliano Dona.”

La Francia ha disciplinato l’attività dell’influencer: in Italia cosa sta accadendo?

“L’AGCOM ha avviato una consultazione pubblica a cui abbiamo partecipato attivamente tramite un contributo scritto ed una audizione orale. Voglio stabilire le Linee Guida che regoleranno il settore tramite l’applicazione per analogia di alcune norme del TUSMAR – Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Allo stato, siamo in attesa dell’esito della consultazione.”

Infuencer in numeri: quanti sono? C’è un trend di crescita?

“Il mercato degli influencer in Italia è in crescita costante. A seguito di alcuni sondaggi, ad oggi si stima che nel nostro paese siano circa 350.000 i professionisti in questo settore più centinaia di migliaia di operatori del settore che li supportano nelle loro attività. Grafici, manager, tecnici, etc.”

Chiunque può essere influencer?

“Sì, come chiunque può diventare un avvocato. È il riuscirci a fare la differenza.”

Giornalisti vs influencer: vera rivalità o no?

“Il giornalismo dovrebbe guardare alla content creation economy come ad una nuova opportunità di raggiungere i lettori e gli ascoltatori. L’informazione vive della sua capacità di essere comunicata indipendentemente dal mezzo; ciò è quanto ci ha insegnato la storia.”

Gli uffici stampa come si relazionano a voi? Cambia da settore a settore?

Non vedo grandi differenze nelle interazioni, né ragioni per cui effettivamente dovrebbero essercene.”

Dato il clamore di queste settimane per i casi Chiara Ferragni/Balocco e Lucarelli/Biagiarelli, abbiamo raggiunto nuovamente il presidente di Assoinfluencer, l’avvocato Jacopo Ierussi, per un commento sui fatti ormai noti.

Il 10 gennaio l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) ha annunciato le Linee-guida per garantire il rispetto delle disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi (D.Lgs. 208/2021, attuativo della Direttiva Ue 2018/1808) da parte degli influencer, che ha preceduto di poco il governo Meloni. Tra queste la proposta di una suddivisione degli influencer in base al numero di followers: micro-influencer (fino a 25.000 follower), macro-influencer (fino a 100.000), mega-influencer (fino a 500.000), celebrity (oltre 500.000). Numeri che Ierussi conferma essere adottati dalla stessa Assoinfluencer: una media di minimo 5.000 follower, almeno 2/3 post a settimana, un engagement coerente coi numeri (circa il 2%) per filtrare chi i follower li ha acquistati. A questo proposito il listino i DeRev fornisce i parametri esatti per inquadrare questa figura professionale.

In previsione di un codice ATECO ad hoc, la regolamentazione AgCom e del Disegno di Legge, secondo lei mettere questa professione su dei binari, sortirà degli effetti sui content creator?

Mi aspetto un aumento della consapevolezza che questa è una professione. Che si informino e si affidino a degli esperti, tra cui avvocati e commercialisti che conoscono questo mondo, per muoversi all’interno del mercato come professionisti, evitando ‘trappole’ da cui diventa difficile uscire. Questo per anni non è stato possibile perché c’era la concezione che quello dell’influencer non fosse un lavoro, bensì un hobby”. E se non è un hobby… “Dato che questa professione porta un indotto sia sul lato fiscale che contributivo – prosegue Ierussi – è controproducente agire in modo diverso”.

Il clamore di queste settimane ha accelerato una regolamentazione che in Italia ha tardato ad essere istituita, e mentre il presidente Assoinfluencer glissa un commento sui fatti ormai noti, almeno finché i fatti non vengano confermati o smentiti dalle autorità, si esprime in modo lapidario sull’errore di mischiare marketing e beneficenza:

“Le attività di beneficenza e marketing dovrebbero muoversi su canali distinti. Il rischio di errore è molto alto. La beneficenza non ammette di base un interesse personale. Ai nostri associati mi sento di dire di evitare di farlo. Se io vendo un libro e destino il 30% del ricavato a una realtà senza scopo di lucro, è opportuno prima vendere il libro, in seguito destinare una parte del ricavato a scopo benefico”.

Chiara Ferragni non è associata ad Assoinfluencer ma l’indicazione del presidente dell’associazione di categoria, è esaustiva.

Barbara Amoroso Donatti
Barbara Amoroso Donatti

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