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Giornalisti vs influencer: se inviti l’influencer non vengo

Le aziende da tempo chiedono agli uffici stampa di invitare agli eventi oltre ai giornalisti, gli influencer di settore. La crescente competizione tra le due categorie crea però 

incidenti ‘diplomatici’, e i primi si rifiutano di presenziare in contemporanea con la nuova figura professionale, così come definita negli scorsi giorni dalla Francia.

Non c’è chiarezza sui motivi di tale antipatia, perché in Italia non c’è chiarezza sulla figura dei content creator, imprenditori non regolamentati che si confrontano sullo stesso campo di professionisti tenuti a rispettare una deontologia codificata. A questo si aggiunge la crisi dell’editoria che risica gli investimenti pubblicitari.

Abbiamo fatto delle domande molto scomode ad alcuni rappresentanti italiani delle due categorie per capire cosa li rende affini, cosa diversi e se c’è spazio per tutti.

Il casus belli

A luglio 2020 Aset (Associazione Stampa Enogastroalimentare Toscana, ha sottoposto una proposta all’Ordine dei Giornalisti della Toscana affinché in fase di accredito di eventi di settore, ci sia distinzione tra Stampa (iscritti all’Albo dei giornalisti) e non (influencer e blogger).

La proposta è stata recepita positivamente dall’Ordine regionale, poiché ha dato voce alla necessità di chiarire ai lettori, ai visualizzatori e ai consumatori, se ci si rivolge a un professionista tenuto a seguire le norme deontologiche, anche in materia di pubblicità, o a un professionista che si occupa di promozione di aziende e brand. Una prassi, tra l’altro, adottata già da tempo da alcune realtà come la Mostra del Cinema di Venezia.

Aset ha come mission quella di tutelare la serietà e competenza di uno dei settori più colpiti dalla crisi giornalistica, ma non l’unico. Da anni il giornalismo legato ai campi più edonistici, come enogastronomia, sport, beauty, bellezza, ha visto un’esplosione di “comunicatori”. O meglio: da quando i Social Network si sono fatti strada nelle quotidianità di miliardi di persone.

Tale dicotomia è percepita e ‘sofferta’ solo dai giornalisti o anche da influencer, blogger, content creator?

Dato che oggi aziende, e quindi uffici stampa, chiedono mailing list non solo di giornalisti ma anche di influencer per inviti ad eventi o invio di campionature, l’argomento ha abbracciato in toto il nostro interesse. Ecco cosa abbiamo scoperto.

Se giornalisti e influencer si trovano nella stessa stanza

L’occasione per approfondire la tematica ce l’ha fornita il Consorzio del Salice Salentino DOC che in alcune tappe dei press tour organizzati per promuovere la denominazione e il territorio, ha istituito gruppi “ibridi” di professionisti, mettendo alla prova entrambi a causa delle esigenze differenti di informazioni e approfondimento sul medesimo tema: il vino. Ma il galateo sopravvive e quattro giovani imprenditori digitali si sono resi disponibili a rispondere alle domande scomode e dirette di una giornalista (io). Un patrimonio di risposte, essendo stati i primi in Italia a comunicare un prodotto simbolo come il vino in modo POP.

Stiamo parlando di 2 dei fondatori di Cantina Social, Adriano Amoretti e Matteo Franco, del fondatore di Enoblogger, Emanuele Trono, e di Stefano Quaglierini, fondatore di Italian Wines. Tre pagine Instagram che insieme totalizzano oltre 300.000 follower, accumulati in anni di attività.

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Perché invitare sia influencer che giornalisti?

La prima domanda l’abbiamo posta al Consorzio, che rappresenta molteplici aziende e nell’ambito di un’attività di promozione ha deciso di invitare entrambe le tipologie di professionisti. Il suo ufficio stampa, con la voce di Federico Cosimo Chimenti, ci ha risposto in modo diretto:

“Il blogger e gli l’influencer fanno una comunicazione immediata con riscontro immediato. Dal giornalista ci si aspetta un approfondimento”.

Sfogliando i contenuti social e gli articoli pubblicati, non servono spiegazioni. I primi escono di norma in tempo reale o quasi, facendo una sorta di telecronaca dell’evento. I secondi analizzano aspetti su prodotti ed eventi compatibilmente con i piani editoriali delle testate di riferimento.

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Content creator vs influencer

Prima di proseguire è d’obbligo una precisazione: influencer e content creator (o imprenditori digitali) non sono la stessa cosa, come ha puntualizzato Adriano Amoretti.

“L’influencer è qualcuno di bravo, ammirato, che come indossa un capo d’abbigliamento o fa un certo tipo di attività, viene emulato. Una realtà come Cantina Social”, prosegue Amoretti, “invece fa informazione su un tipo di prodotto, in questo caso il vino, mettendoci la faccia”.

Se il content creator ‘fa informazione’ come il giornalista, in cosa consiste la differenza? E qui la risposta dei 4 imprenditori è corale: loro si rivolgono a chi è al terzo bicchiere di vino della sua vita, il giornalista a chi degusta da tempo. Tradotto: l’influencer introduce argomenti e prodotti, il giornalista ne analizza pregi e difetti.

Il giornalista dovrebbe infatti sollecitare ‘scomodità’ nel lettore, scatenando domande e riflessioni, mentre i content creator, o blogger, o influencer, hanno la mission di far sentire a proprio agio il fruitore di contenuti che devono risultare attraenti e in linea con i trend degli algoritmi.

L’influencer viene ingaggiato, il giornalista viene invitato

E qui la domanda più scomoda di tutte: io giornalista presenzio ad un evento e non chiedo compensi al Consorzio o all’azienda per scrivere un contenuto. Anzi, dovrei avere la libertà di decidere non solo come scriverne bensì se scriverne. L’influencer pattuisce un compenso con le aziende che lo invitano. Perché? La risposta è stata senza diritto di replica: “Noi siamo liberi professionisti, chi paga il nostro lavoro se non chi ci invita?”.

I giornalisti freelance sono anch’essi liberi professionisti e qui spunta la chiave di volta della questione: sono gli editori a cui vengono proposti gli articoli che pagano il giornalista. Ma, e c’è un ma grande come una casa, la maggior parte dei compensi oggi sono ridicoli quando inesistenti. L’editoria si è sempre retta sulla pubblicità, e questo ci porta a un’altra riflessione. 

Editori vs influencer

Forse la dicotomia non è tra giornalisti ed influencer, bensì tra editori ed influencer che si spartiscono budget pubblicitari?

Di questo abbiamo parlato con Francesca Favotto, giornalista per Condè Nast, specializzata in benessere, salute, relazioni, altri temi in cui gli esperti veri e presunti sono ‘spuntati come funghi’ negli ultimi anni.

“Nel mio settore gli influencer si fanno chiamare divulgatori. Spesso hanno agenzie che ne gestiscono contatti e ingaggi”.

Nell’analizzare la confusione vigente nel giornalismo italiano, Favotto non risparmia la mancanza di controllo di rispetto delle regole da parte degli organi competenti: oggi è troppo tardi per tornare indietro. “Mi ricordo i tempi in cui con due ingaggi al mese si viveva bene, anche troppo. A questo si aggiungevano benefit, viaggi etc.”. Oggi il valore economico è completamente depauperato, e questo non ricade solo sul guadagno: “Riconoscere un determinato valore economico di un articolo, vuol dire investire sulla responsabilità che la persona che scrive si assume”. 

Con Favotto parliamo della stretta dell’Unione Europea sulla privacy, perciò sulla profilazione pubblicitaria social, perciò sugli incassi di Meta, alias Mark Zuckerberg.

“È come voler fermare uno tsunami con una diga. Inutile proporre profili a pagamento per eliminare la pubblicità, è tardi. Siamo miliardi di persone sui social (4,8 miliardi secondo i dati agosto 2023 n.d.r.). Una simile scelta diventerà appannaggio dei più ricchi, come da sempre il più ricco compra l’attico per godere di privacy. Non è per tutti”. In un’epoca, aggiungiamo noi, in cui siamo sempre più abituati che contenuto digitale vuol dire contenuto gratuito, una logica tutta italiana, dato che all’estero testate online di settore chiedono l’abbonamento per l’accesso.

Promozione vs critica analitica

Il tema denaro ci riporta al punto di partenza: il valore economico garantisce qualità. 

“I content creator, gli influencer, i blogger, parlano in modo facile, immediato – continua Favotto – invece varrebbe la pena tornare all’informazione lenta e consapevole. Basta guardare cosa è successo col Covid19: quanto l’informazione pressapochista ha contribuito alla paura, alla confusione delle persone? Tornando a contenuti video o reel, si capisce che sono marchette: dicono tutti la stessa cosa”.

Non sappiamo più dov’è la verità, prosegue la giornalista: ”Una volta il giornalista era garanzia di verità” e cita le critiche al TG1 delle scorse settimane, dove la gerarchia delle notizie è stata soppiantata dalla leggerezza estiva, in cui news frivole sono state date prima di quelle di cronaca e politica internazionale. 

Qualcosa che potrebbe suonare un’imitazione delle logiche social, un fenomeno che Emanuele Trono ha posto alla nostra attenzione osservando un altro atteggiamento giornalistico: “Oggi noi (content creator n.d.r.) abbiamo imparato come pubblicare sui social: per un evento creiamo 2 o 3 contenuti al massimo. Viceversa i giornalisti che si sono buttati sui social, ne fanno così tanti da passare ore col telefono in mano”. 

Deontologia vs regolamentazione: Francia docet

Il problema non sembrano le nuove figure professionali, purché sia esplicita l’attività di promozione, e qui la Francia fa da apripista con il testo di Legge approvato nei giorni scorsi. La Repubblica francese ha infatti deciso di definire legalmente gli influencer come persone fisiche o giuridiche che, a pagamento, usano la loro notorietà per influenzare il loro pubblico e per promuovere beni e servizi online. A questo si aggiungono misure di tutela nei confronti di minori e non solo: la normativa vieta la promozione di pratiche come la chirurgia estetica o l’astensione dalle terapie, e le immagini promozionali, come quelle di cosmetici, devono indicare se sono state ritoccate.

Badge o non badge

Con Favotto torniamo al Casus Belli Aset, chiedendole come funzionano i badge Stampa e non Stampa nel suo settore. Ci spiega che sono distinti, e che gli eventi sono un mix di professionalità da tempo. È il sistema ad essere in confusione, prosegue, lo palesano le pretese di recensioni, e soprattutto recensioni positive, ai giornalisti da parte di aziende e uffici stampa. Il giornalismo, chiosa la professionista, non è questo.

Anche gli influencer sono in agonia

Matteo Franco e Francesca Favotto sono concordi su un punto: è impossibile rimanere aggiornati sui cambiamenti settimanali degli algoritmi social. Questo aspetto mette in crisi anche gli imprenditori digitali senior e rendono difficile la crescita delle new entry. Non per niente sia Cantina Social, che Enoblogger e Italian Wines (quest’ultimi sono partner), nonostante la fiducia rinnovata da parte di committenti e follower, hanno previsto il declino del sistema, preparando un piano B: i primi hanno aperto un’enoteca (fisica), i secondi si occupano di formazione.

In conclusione: chi invito?

La Francia dice a chiare lettere che gli influencer ci sono e ci saranno sempre (nei suoi confini ne conta circa 150.000), quelli italiani intravedono il declino all’orizzonte, gli uffici stampa compilano sempre più spesso due mailing list di inviti, i giornalisti si inventano ruoli molteplici per poter continuare la professione. I ruoli però devono essere chiari, e in mezzo al caos ha importanza una cosa ai fini del valore delle pubblicazioni: la serietà e l’autorevolezza. 

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Barbara Amoroso Donatti
Barbara Amoroso Donatti

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