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Francesco Zaffarano: il social può informare meglio della stampa?
Francesco Zaffarano è responsabile dei contenuti di Will Media, community con 1,6 milioni di follower solo su Instagram con un modello alternativo al clickbait.
“La differenza è vedere le piattaforme social non come luoghi di distribuzione di contenuti per generare traffico, bensì come piattaforme dove fare informazione nativa.”
Un giornalista che crede nell’informazione via social. Com’è andata questa ‘migrazione’ tra giornalismo e specialista dei nuovi media?
“Mi interesso da sempre dei nuovi media, soprattutto degli aspetti innovativi. Come giornalista mi affascinava l’idea di rinnovare forme, metodi, modelli di business. All’inizio è stato abbastanza casuale: mi sono iscritto al Master in Giornalismo dell’Università Cattolica dopo essermi laureato in Filosofia a Milano e ho avuto la fortuna al mio primo stage curriculare di entrare a La Stampa, dove inizialmente mi occupavo di data journalism e visualizzazioni di dati. Ho collaborato con un’esperta di marketing che si occupava dei social per La Stampa. Poi La Stampa decise di internalizzare tutta la parte di produzione dei contenuti Social e gestire gli account in modo più editoriale, hanno assunto dei giornalisti e mi hanno proposto di collaborare. Era il periodo in cui ancora tante testate facevano gestire i social da agenzie esterne (2014 n.d.r.), io ero uno dei pochi giornalisti che si occupava di social media da un punto di vista tecnico e redazionale”.
Che differenza c’è tra una gestione marketing e una giornalistica di un account?
“La differenza è vedere le piattaforme social non come luoghi di distribuzione di contenuti per generare traffico, bensì come piattaforme dove fare informazione nativa. Il primo passo per cambiare all’epoca è stato considerare i commenti sotto i post social come spazio di interazione con la community. Questo ha creato un nuovo spazio editoriale che ricalcava quello tradizionale delle lettere dei lettori alla redazione o al direttore. Qui comincia la differenza tra una gestione editoriale e quella di agenzie di comunicazione. Anche se l’agenzia di comunicazione modera i commenti, la sua priorità è diversa rispetto a un giornalista. Parti da un punto di vista differente: da una parte l’agenzia ha degli obiettivi quantitativi di generazione di traffico, di interazione; mentre per me, come giornalista, la priorità è che le persone siano coinvolte”.
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Sei responsabile dei contenuti della community di Will. Ci racconti come funziona questo progetto?
“Will non si discosta da quello che è un magazine, una testata registrata, perché a parte il non firmare i contenuti, comunque ci imponiamo una deontologia, esattamente quella che dovrebbe seguire una testata giornalistica. Devo riconoscere che i nostri standard qualitativi sono a volte più alti di alcune testate. Anche l’aspetto della firma dei contributi l’abbiamo mutuata da una delle più autorevoli testate internazionali, The Economist. Non seguiamo le breaking news, non siamo aggrappati alla cronaca e il ruolo centrale è della community, con cui abbiamo un dialogo costante. Un modello di business che non è solo una scelta strategica bensì ontologica”.
Ogni piattaforma ha il suo target generazionale di utenti. Per questo Will non è legato a un singolo social network?
“Cerchiamo di seminare i nostri contenuti in diversi luoghi per raggiungere in modo più capillare possibile un ampio spettro di persone. Vogliamo accogliere uno specchio demografico ampio e costruire comunità che trascendano l’appartenenza a una generazione”.
Quali sono i tre elementi che determinano l’autorevolezza di un canale di comunicazione, che sia una testata o una realtà come Will?
“La completezza e la correttezza dei contenuti che vengono pubblicati, come dovrebbe essere per una realtà editoriale di qualunque tipo. Che i contenuti siano accessibili non in termini di gratuità, ma in quanto comprensibili, cioè scritti e realizzati in modo che una persona possa fruirli a prescindere dal grado di consapevolezza che ha su un dato tema: l’obiettivo che ci siamo dati a Will è di scrivere per tutti senza lasciare indietro nessuno. Un altro aspetto fondamentale è l’attenzione verso la community, ma potrei parlare di lettori, telespettatori, ascoltatori radiofonici. Il tema è che stai facendo un servizio pubblico anche se non sei la TV pubblica. E se lo stai facendo senza domandarti cosa serve al pubblico, stai facendo un servizio non sufficientemente di qualità. Un quarto elemento è correggersi senza nascondersi: quando sai di aver sbagliato, devi riconoscerlo e dirlo pubblicamente”.
Barbara Amoroso Donatti
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