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Fabio Bellumore: la forza di Amref? Target e identità
Il nostro ciclo di incontri con i professionisti delle media relations prosegue con il settore onlus. Ne parliamo con Fabio Bellumore, responsabile ufficio stampa in Amref.
“Giobbe Covatta come testimonial? Ha precorso i tempi degli influencer. Relazioni, progetti e storie continuano ad essere centrali per una comunicazione efficace.”
Le onlus si sono moltiplicate, con strutture e mission diverse. Per mantenere alta l’attenzione su Africa e salute, Amref ha battuto canali meno canonici che si sono dimostrati vincenti.
Ci racconta brevemente l’evoluzione della comunicazione delle onlus?
“Il cambiamento della comunicazione delle Onlus è stato spinto dall’incremento del numero di organizzazioni presenti nel panorama italiano. Quando Amref è nata negli anni ‘90, c’erano poche organizzazioni simili, quindi c’era una possibilità ampia di lasciare il segno ed essere ricordati. Oggi è più difficile farsi vedere, farsi notare. Si tratta di un lavoro di studio accurato della propria mission e della capacità di realizzare contenuti diversi dagli altri. In tempi più recenti la svolta più importante è stato lo spostamento della centralità del comunicato stampa, scalzato o affiancato dai social network, quindi dalle dichiarazioni che arrivano attraverso Twitter (n.d.r. oggi X) e Facebook”.
Come si trova a lavorare come ufficio stampa nel settore delle onlus?
“Tra il 2005e il 2006 vinco una borsa di studio che mi dà accesso all’ufficio stampa della UISP nazionale. Da qui passo a fare face to face con Save the Children, un lavoro complicato, perché stare in strada, incontrare le persone, parlare con loro per proporti di aiutarti, non è semplice. Questa esperienza mi ha permesso di accedere a Ecpat che contrasta lo sfruttamento sessuale a danno dei minori. Questa organizzazione è un nodo italiano di una rete più ampia che nasce nel sud-est asiatico. Ho lavorato lì per 7 anni. A fronte di questa esperienza sono stato chiamato nel 2014 da Amref per gestire l’ufficio stampa. Qui ho creato degli spazi dedicati ai dati, visto che i giornalisti sono sempre molto attenti a questi. Inoltre ho percorso strade alternative al classico giornalismo, come le missioni e il TG con Lercio o le graphic novel sull’inserto La Lettura su il Corriere della Sera”.
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Qual è il focus della comunicazione odierna nel mondo delle onlus?
“Dipende, perché è un panorama variegato quello delle onlus: da una parte ci sono le grandi organizzazioni umanitarie che sono delle vere e proprie imprese sociali, con un lavoro strutturato, con delle dinamiche spesso vicine al mondo del profit. Dall’altra c’è il mondo definito volontariato che non è totalmente volontariato: tra le onlus sarebbe necessario capire che l’etichetta volontariato non può andare bene per tutti. D’altra parte ci sono realtà strutturate volte non a sviluppare un utile, bensì un’utilità”.
Come si tiene vivo l’interesse dei giornalisti?
“Attraverso incontri, eventi, contenuti mirati basati sullo studio del target, utilizzando gli strumenti giusti. Diventare un punto di riferimento per quel tema che ti distingue dagli altri. Io mi occupo di Africa e di Africa e salute. Poi c’è chi si occupa di lotta al cancro. Dalla nostra c’è il fatto che non stiamo vendendo nulla: non siamo la marca X, ma siamo un’organizzazione che vuole passare un messaggio di solidarietà, di aiuto che a volte passa dalla raccolta fondi e bisogna essere in grado di cogliere queste opportunità”.
Cambia la comunicazione tra giornalisti generalisti e di settore?
“Dipende dal contenuto. Se ho un contenuto che ha a che fare con la politica, mi rivolgo a un determinato tipo di target, se ho un contenuto che ha a che fare con la salute, mi rivolgerò ad altri target. Rivolgersi alla stampa generalista è più facile perché la conosciamo tutti. Lavorare con la stampa di settore è più complicato ma a volte può essere più efficace. Comunicati e storie devono essere diversi, con le giuste fotografie, con il giusto oggetto della mail. Uno studio maggiore del target e quindi di quel giornalista porta a un risultato migliore”.
Influencer e beneficenza: sì o no?
“Noi abbiamo i testimonial, come Giobbe Covatta che è stato uno dei primi a ‘influenzare’. Altro esempio Renzo Arbore per la Lega del Filo d’Oro. Per noi Giobbe è stato fondamentale per far capire che l’Africa non era solo il bambino con la pancia gonfia e la mosca sul naso. Nel nostro ambito ha senso ingaggiare un personaggio spinto dalla sua passione per un tema, anziché un influencer che declina la sua immagine per la sua visibilità e per tanti temi diversi. D’altra parte l’influencer e il testimonial aiutano perché permettono di aprire un altro campo che è quello dello spettacolo: spesso alcune tematiche sono lontanissime dalle persone, ed è utile farle passare attraverso gli occhi di un testimonial, soprattutto oggi che ci si è spostati dalla televisione ai social network”.
Esempi virtuosi di comunicazione del suo settore
“Medici senza Frontiere, perché riesce a tenere alta l’attenzione mediatica. Dall’altra parte quella del Banco Alimentare, che in modo capillare entra nelle case delle persone trattando un tema delicato come quello dello spreco alimentare. Un lavoro a parer mio molto ben fatto”.
Il futuro della comunicazione delle onlus
“Auguro alle onlus di essere in grado di unirsi dove possibile ed essere in grado di specializzarsi, quindi crearsi una propria identità. Il lavoro degli uffici stampa delle onlus, è tenere alta l’attenzione sulle ingiustizie, fare costantemente da sentinella, essere un cardine per mantenere al centro la mission della onlus”.
Barbara Amoroso Donatti
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