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Intelligenza artificiale e giornalismo: il progetto di Charlie Beckett

Anche nel mondo del giornalismo, l’intelligenza artificiale sta già ricoprendo un ruolo significativo, nonostante non sia ancora distribuita in modo uniforme.

Le tecnologie dell’AI svolgono funzioni quotidiane, come la ricerca, ma sono anche in grado di elaborare testi e video, grazie ad algoritmi complessi basati sull’apprendimento profondo. L’impatto dell’innovazione in questo settore non è ancora scritto, ma un fatto è certo: i robot non prenderanno il posto dei giornalisti, che investiranno tempo e creatività per affrontare le sfide dell’era digitale.

L’indagine “Nuovi poteri, nuove responsabilità”, coordinata dal reporter inglese Charlie Beckett, rappresenta un primo passo per comprendere l’introduzione dell’AI nell’informazione, raccogliendo le opinioni di 116 giornalisti di ogni parte del mondo, quotidianamente in contatto con le novità che rivoluzionano la professione.

Alla ricerca, svolta in sinergia con Polis – il team di studiosi di giornalismo della London School of Economics and Political Science – e Google News Initiative, ha contribuito anche il manager italiano Mattia Peretti.

intelligenza artificiale
Il team di studiosi della London School of Economics

Interviste in profondità e focus group hanno permesso di capire che, ad oggi, nel mestiere del giornalista le aree che vedono maggiormente l’impiego dell’intelligenza artificiale sono tre:

  • la raccolta di notizie (ricerca di informazioni, identificazione di trend, monitoraggio degli eventi);
  • la produzione (creazione ed editing di contenuti in base alle diverse piattaforme);
  • la distribuzione (personalizzazione dei contenuti, studio delle abitudini degli utenti, monetizzazione).

L’adozione dell’AI, tuttavia, è ancora descritta come aggiuntiva, supplementare e catalitica, non trasformativa. Le redazioni, spesso, si dividono a metà: da una parte, gli “early adopters”, coloro che, in veste di pionieri, si sentono pronti ad utilizzare il nuovo strumento, dall’altra chi si preoccupa del risvolto sociale, sottolineando il potenziale danno che gli algoritmi producono nell’informazione.

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Il bias di conferma: quando l’algoritmo la pensa come me

Un problema che emerge dallo studio di Charlie Beckett è il rischio di una eccessiva personalizzazione e polarizzazione dei contenuti, il cosiddetto “confirmation bias”. Il modo in cui le redazioni dei giornali gestiranno i dati dipenderà sempre dalle loro tendenze e politiche ideologiche. Per non cadere in errore e non restare isolata nella propria “bolla”, compito della stampa sarà possedere giuste conoscenze e consapevolezza critica per non alimentare nel lettore pregiudizi, fake news, appelli all’emotività, che distorcano l’informazione.

Un ruolo fondamentale spetta anche a colossi della Rete, come Google e Facebook che, con il loro servizio, veicolano notizie. La raccolta dei dati è alla base del loro profitto, rendendo ambivalente il rapporto tra editoria ed Internet. Il dibattito etico dovrebbe essere affrontato da entrambe le prospettive.

Altra paura che i ricercatori hanno rilevato nel campione di reporter coinvolti è quella di una crescente disuguaglianza tra piccole e grandi redazioni: l’intelligenza artificiale, introdotta soltanto nelle aziende editoriali più evolute ed economicamente avanzate, potrebbe lasciare indietro quelle che contano pochi addetti e dispongono di scarsi mezzi, decretandone la chiusura.

Alfabetizzazione all’AI

Comune a tutti gli intervistati è la necessità di una formazione completa ed approfondita per il giornalista 2.0 che, ancora oggi, non sembra pienamente alfabetizzato all’uso dell’intelligenza artificiale. Se davvero integrata, pervasiva ed operante su vasta scala, l’AI potrebbe diventare determinante nel coinvolgimento del pubblico, per la scoperta di notizie e per una maggiore efficienza in redazione. L’intelligenza artificiale non salverà il giornalismo, né lo depotenzierà. In un mondo sovraccarico di contenuti, c’è sempre più bisogno di buoni giornalisti.

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