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Giornalismo sportivo: la decennale esperienza di Sergio Meda
Quando si parla di giornalismo sportivo non si può non nominare La Gazzetta dello Sport, il giornale più letto dagli italiani che amano il calcio, i motorsport e tutti gli sport più seguiti. Abbiamo chiesto al giornalista sportivo Sergio Meda di raccontare la sua decennale esperienza presso la testata rosa per conoscere i retroscena di questo settore dell’informazione e per chiedere qualche consiglio a chi aspira a questa carriera.
Ci racconti le Sue esperienze in ambito giornalistico.
“Ho lavorato su più fronti, svolgendo incarichi molto diversi tra loro e tutti appaganti. Ho esordito come redattore per La Gazzetta dello Sport nel 1973, mi occupavo di ciclismo. Contemporaneamente, dal 1974 sono stato l’addetto stampa di Also Enervit, esperienza conclusasi nel 1981.
Dopo una prima esperienza presso il quotidiano popolare L’Occhio, durata dal 1980 alla fine del 1981 (in concomitanza con la chiusura della testata), l’anno successivo ho lasciato il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera per fondare, con Beppe Viola, MAGAZINE, un’agenzia di servizi in ambito di sport e costume, della quale mi sono occupato fino al 1984.
Dal 1991, ho fatto molte esperienze in ambito di salute e sanità. Sono stato direttore di testate per il pubblico distribuite in farmacia e direttore editoriale di Ariete Edizioni, mentre nel 1993 ho lavorato a fianco di Mariapia Garavaglia, Ministro della Sanità.
Nel 1994 sono tornato alle mie origini giornalistiche, prima diventando addetto stampa della Nazionale di ciclismo ai Mondiali di Sicilia prima e, successivamente, rientrando alla Gazzetta dello Sport in qualità di ufficio stampa delle manifestazioni in rosa, che ho gestito sino al 2009 in occasione del Giro d’Italia del Centenario.
Insomma, mi sono divertito molto!”.
Com’è nata la passione per il giornalismo e, in particolare, per quello sportivo?
“In realtà, è nata casualmente. Avrei dovuto seguire la strada di mio padre, che era un commercialista, ma la sua prematura scomparsa mi ha spinto a tentare un percorso senza garanzie.
Anche il mio ambito giornalistico, lo sport, è venuto un po’ per caso. Avrei preferito occuparmi di costume, in realtà, ma dopo aver praticato nuoto, tennis, basket, il direttore della Gazzetta, Zanetti, mi disse «Ti occuperai di ciclismo». Ammetto che non ne sapevo niente. Ho frequentato molto gli archivi per capirne di più e ho avuto ottimi maestri, come Gianni Brera e Mario Fossati”.
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Sport e atleta o squadra preferiti?
“Direi per forza il ciclismo, che ho imparato a conoscere e ad amare per la genuinità dei protagonisti: gente vera, faticatori senza mai dubbi o ritrosie. Ben diversi dai calciatori odierni, che non sopporto.
Discorso diverso è, appunto, il calcio. Da ragazzino tifavo Inter, ma il mestiere ti impone equidistanza, non puoi essere di parte. I giornalisti sportivi schierati, tifosi, li trovo ridicoli”.
Come vede adesso il periodo trascorso presso La Gazzetta dello Sport?
“Mi sono formato presso una scuola all’interno della quale la competenza era importante, ma contava soprattutto la capacità di raccontare i fatti distinguendoli dalle opinioni. Il gossip, così di moda oggi, non aveva cittadinanza. Scrivevamo di sport, il privato dei protagonisti era tutelato”.
L’esperienza giornalistica più bella mai vissuta? E la peggiore?
“Le esperienze giornalistiche più belle sono riconducibili senza dubbio ai grandi eventi sportivi vissuti da inviato: Olimpiadi, Mondiali ed Europei delle varie discipline che ho seguito.
I momenti peggiori, invece, sono stati quelli in cui non ho potuto trasmettere gli articoli dai paesi dell’Est a causa dei blackout telefonici che si verificavano ai tempi della Cortina di Ferro (mi è successo almeno tre volte!)”.
Pensa che lo sport sia cambiato da quando Lei era in prima linea? E il giornalismo sportivo?
“Tutto è cambiato. Oggi impera il business, che cambia anche le regole assoggettandosi alle pretese dei grandi network televisivi.
Prendiamo Wimbledon, per esempio. È il tempio del tennis e per quasi due secoli la finale si è sempre svolta di sabato per rispettare il canonico riposo domenicale. Gli americani, invece, hanno imposto la finale di domenica per questioni di audience. Voto 4”.
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Quali sono le regole d’oro del giornalismo sportivo?
“Penso che un bravo giornalista sportivo debba essere curioso e capace di condurre ricerche e approfondimenti della notizia, con un rigoroso controllo delle fonti di informazione.
Quando si scrive di un evento sportivo è fondamentale saperne molto in anticipo, studiando a fondo gli aspetti che potrebbero interessare, dai precedenti curiosi alle anomalie di alcune edizioni. Occorre studiare per poter provare a prevedere che cosa può succedere.
Per quanto riguarda gli atleti, se si tratta di personaggi già noti basta chiedere quanto ancora non si sa, dopo aver consultato gli archivi. E magari interrogare chi gli sta accanto: spesso il manager amico racconta più dello stesso protagonista. Agli sportivi emergenti, invece, è giusto concedere il tempo di una lunga intervista, se possibile in presenza, altrimenti al telefono.
In generale, penso che l’errore più comune di si occupa di questo settore sia la tendenza a fermarsi al già noto. Tipo il presentatore che introduce un ospite dicendo, appunto, che «non ha bisogno di presentazione»”.
Che consiglio darebbe a chi vuole diventare un giornalista sportivo?
“Chi si occupa di giornalismo sportivo prima di tutto deve vivere di curiosità e non fermarsi alle apparenze, perché se si vuole scrivere di qualcosa di nuovo ci sono mille modi per distogliere l’attenzione dalle «vere notizie» ed è fondamentale riuscire a capire quali sono.
L’altro consiglio importante che mi sento di dare è di non mai aver timore di chi, avendo dalla sua i soldi, pensa di poter comprare le persone. Questo è un discorso che non vale solo per lo sport, dove i soldi non mancano, ma in generale. Schiena dritta, insomma, sempre e comunque!”.
Ringraziamo Sergio Meda per averci raccontato la sua ricca esperienza e per i preziosi consigli.
admin
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