Articoli e news
Fake news e bias cognitivi: a che cosa crediamo di più e perché
Il nesso tra fake news e bias cognitivi è stato oggetto di studio da parte di psicologi ed esperti di comunicazione. Come gli errori di ragionamento inducono le persone a credere alle bufale è un tema molto delicato.
Perché le fake news sono convincenti? In che modo si diffondono? Perché, anche se arriva una smentita, alcuni lettori si persuadono ancora di più della veridicità della “loro” notizia?
La risposta a questi interrogativi riguarda tutti e in modo particolare chi lavora nel mondo dell’informazione. Ne sono direttamente coinvolti i giornalisti, gli uffici stampa, i social media manager e i responsabili delle relazioni pubbliche aziendali.
Le notizie false, oggi, hanno acquisito un potere pervasivo che non si può trascurare. Diventano una questione politica e sociale – come nel caso delle opinioni no-vax in tempi di pandemia – e sono un rischio per enti e aziende: si pensi a una notizia falsa che danneggia l’immagine di un marchio…
Fake news e bias cognitivi: quale rapporto
Le bufale esistono da sempre e sono state soltanto amplificate da web e reti sociali. Anche i bias cognitivi non sono una novità: gli psicologi li definiscono come euristiche inefficaci. Le euristiche sono scorciatoie che il cervello utilizza per farsi un’idea di una situazione, in modo veloce e con uno sforzo minimo. I bias cognitivi sono euristiche deboli, distorsioni del procedimento mentale che si rivelano difficili da sradicare.
Se i bias nascono, tra l’altro, dalla fretta, il loro rapporto con le fake news si spiega facilmente. Sono di fretta i lettori che controllano la posta elettronica dal telefono, mentre vanno al lavoro. Sono di fretta gli utenti che guardano le notifiche che arrivano dai social network, mentre sono al pc. Sono di fretta persino i giornalisti che scorrono le loro fonti alla ricerca di una notizia e gli addetti stampa che controllano i giornali.
In un contesto di overload di informazioni, la fretta sembra essere l’unica strategia possibile, ma non sempre aiuta davvero.
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Bias di conferma: leggere quello che piace di più
I bias cognitivi classificati dagli psicologi sono molti. Tra gli altri, il bias di conferma viene menzionato spesso da coloro che fanno debunking, cioè trovano e confutano le notizie false. State of Mind definisce il bias di conferma come
”l’atto di riferimento alle sole prospettive che alimentano i nostri punti di vista preesistenti”,
perché
“a ciascuno di noi piace essere d’accordo con le persone che sono d’accordo con noi e ciascuno di noi tende ad evitare individui o gruppi che ci fanno sentire a disagio”.
Gli utenti, cioè, sono portati di più a credere a informazioni che consolidano le loro credenze mentre tendono a rifiutare le notizie che vanno in direzione opposta. Ad esempio, se un lettore pensa che i vaccini siano pericolosi, valuterà con maggior favore tutti i contenuti che tendono a dimostrare questa tesi.
Illusione della frequenza
Un’altra distorsione può associarsi al bias di conferma ed è l’illusione della frequenza. Il cervello tende a vedere e ricordare di più alcune informazioni rispetto ad altre. La scelta si orienta in misura delle esperienze personali: ad esempio, a una donna che aspetta un bambino accade di vedere per strada un numero sempre crescente di signore in gravidanza.
Il lettore che ha simpatie no-vax osserverà che sono in aumento gli articoli in linea con le sue opinioni: in realtà, è accaduto che il suo cervello li ha involontariamente selezionati in modo più frequente. L’algoritmo di alcuni social network, che propone all’utente i contenuti sulla base di quello che hanno scelto in passato, consolida l’illusione della frequenza.
Riprova sociale e autorità
Nel 1984 Robert Cialdini pubblicava un testo tuttora molto noto, nel campo della psicologia sociale e del marketing: “Le armi della persuasione”. Cialdini aveva studiato le tecniche di persuasione dei venditori e, per esempio, aveva scoperto quanto fosse potente il meccanismo della riprova sociale. Se qualcosa piace a molti, i consumatori sono tentati di pensare che sia davvero valido e sono più propensi ad acquistarlo.
Anche un articolo novax, citato e condiviso molte volte, può avvantaggiarsi di questo principio. Cialdini parla anche del principio di autorità. Una notizia è più credibile se trasmessa o condivisa da una fonte che merita rispetto, come un’istituzione, un ente competente, un esperto. Nel caso di fake news e bias cognitivi, il problema sta nel fatto gli utenti non verificano se, per esempio, il sedicente esperto sia davvero tale o se la fonte citata come un’istituzione non sia, in realtà, un falso.
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La polarizzazione delle opinioni
Cialdini parla anche del principio di impegno e coerenza: le persone danno credito alle teorie che risultano per loro più facili, perché sono coerenti con quello che già sanno e non contraddicono le loro opinioni. Sarebbe questo il fondamento di un altro fenomeno:
smentire un fake, confutandolo nei dettagli, a volte risulta inutile.
Chi ha condiviso la bufala si ritrae, a volte reagisce in modo aggressivo, polemizza con l’interlocutore, nega la smentita e continua a difendere la notizia falsa. Pur di difendere le sue convinzioni, il lettore finisce con l’appoggiarsi ad argomenti sempre più deboli, a volte irrazionali, persino negando l’evidenza.
Ammettere di aver sbagliato è faticoso; cambiare posizione richiede uno sforzo ed è necessario anche del tempo per documentarsi, condurre delle verifiche. Si assiste così alla polarizzazione delle opinioni: le persone radicalizzano i loro punti di vista, portandosi su posizioni estreme, difficili da conciliare con quelle opposte e chiuse al confronto.
Che cosa fanno giornali
Contro la diffusione di bufale e – contro la tendenza di molti a crederci – un buon antidoto è il giornalismo: quello vero, che ha un metodo per raccogliere le notizie, verificarle, scriverle nel linguaggio corretto. La crisi dell’editoria, il diffondersi, nei giornali on line, di titoli e contenuti per aumentare il numero degli accessi, ha dato, però, i suoi frutti velenosi. Non è raro che una fake news diventata virale circoli, in modo indistinto, sui social network e su testate giornalistiche. Un esempio fra tanti è accaduto nel 2016 con la notizia dei selfie con un delfino morto su una spiaggia argentina: riportarono la vicenda, tra gli altri, Tgcom 24, Repubblica e molti altri.
Solo pochi giorni fa, infine, diversi giornali on line e cartacei scrivevano che 7 italiani su 10 erano andati al ristorante nel fine settimana. Il dato, falso, nasceva da una grossolana interpretazione di un comunicato stampa dal quale, sintesi dopo sintesi, si era generato l’equivoco.
La verifica delle fonti
Perché una notizia falsa viene diffusa da un giornale?
Nella maggior parte dei casi, il giornalista non ha controllato la sua fonte.
Nel rapporto tra fake news e bias cognitivi, in molti citano il principio di autorità e questo vale anche per coloro che lavorano nell’informazione.
Non sempre è possibile verificare un fatto andando alla fonte diretta – per esempio contattando un testimone argentino – . Il collaboratore di un giornale locale può essere indotto a pensare che, se ne ha parlato Repubblica, allora sarà vero. Confezionerà quindi il suo articolo copiando le informazioni e contribuirà al diffondersi della bufala.
Le conseguenze di questa tendenza sono pericolose. Se anche la stampa tradizionale diffonde notizie false, non c’è più modo, per il lettore, di comprendere dove e come cercare un’informazione affidabile.
Vecchie abitudini come la verifica puntuale, la correzione delle bozze, la deontologia devono coinvolgere in primo piano chi lavora nel mondo dell’informazione, dai giornalisti agli uffici stampa.
admin
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