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Giornalisti di settore: alcune belle lezioni (prima parte)

Il giornalismo corre in lungo e in largo per differenti vie, temi e argomenti. E mentre l’attualità sembra fagocitare tutto velocemente, al ritmo sempre più frenetico dei social media, ci sono alcune penne che, sposando pazienza, sacrifici e anche gusti e interessi personali, si distinguono per lo stoicismo e l’acume con cui seguono una determinata materia.

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Cosa significa fare il giornalista di settore

Fare il giornalista di settore significa specializzarsi, incunearsi in un determinato angolo del sempre più vasto mondo dell’informazione e professionalizzarsi in uno specifico campo. Scelta che può sembrare rischiosa, perché si elegge un settore su tutti e lo si fa diventare il proprio campo d’interesse, ma che in realtà può diventare molto astuta e ripagante.

Come riuscire a fare il giornalista di settore

Verticalizzare, abbracciare l’arcinota teoria della coda lunga di internet, secondo cui ogni micro settore può avere il suo numero di lettori, può diventare una saggia decisione, anche nel mondo del giornalismo.

La criticità iniziale con cui molti si scontrano, soprattutto all’inizio, è quella di riuscire a inseguire un proprio desiderio o volontà – quello di poter scrivere soltanto di un argomento, che sia il calcio o il vino – trovando testate, online quanto offline, disposte o semplicemente in grado di assecondare questo istinto.

Moltissimi giornalisti o aspiranti tali sono costretti a scrivere letteralmente di tutto pur di sbarcare il lunario e di incontrare le esigenze della propria redazione. Ma per evitare di gettare la spugna ed esaltare, invece, le virtù della specializzazione, potremmo provare a ripercorrere i primi passi dei generi, ricordando le carriere di chi è riuscito a conquistare il proprio lembo di paradiso (giornalistico).

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Il giornalismo sportivo: un sogno per tanti

In un paese in cui il 90% della popolazione dentro di sé si sente il miglior CT della nazionale di calcio, diventare un giornalista sportivo sembra quasi un sogno ad occhi aperti.

Ebbene, forse non molti sanno che questa categoria ha origini lontane: era la metà dell’Ottocento quando nacque il Bollettino Trimestrale del Club Alpino di Torino. Non dimentichiamo che la mitica Gazzetta dello Sport con i suoi oltre tre milioni di lettori al giorno è il primo quotidiano più letto in Italia ed è stata fondata nel 1896.

Il giornalismo sportivo in Italia non ha solo un enorme successo, è anche responsabile di aver allargato il nostro patrimonio linguistico, creando neologismi che sono diventate parole comuni per chiunque: pensiamo a “partire in quarta” o “il gregario”, che è uno dei ciclisti in squadra, o il pittoresco “appendere le scarpe al chiodo”.

Un giornalismo di pancia, potremmo dire, capace di scuotere gli animi, dettar regole, inventare immagini che si stagliano per sempre nella testa di chi le apprende, diventando tanto leggendarie quanto le gesta, sportive, che le descrivono.

Ricco di metafore, epiteti e anche di un certo modo di scrivere che alterna pathos tecnico a uno stile più frivolo, il giornalismo sportivo ha visto davvero tante stelle nel panorama del giornalismo italiano e non solo. Impossibile non citare Gianni Brera, cui è indissolubilmente legato il calcio italiano, che ha inventato espressioni come fare il melina, uccellare o centrocampista, così come alla voce di Bruno Pizzul, i cui commenti durante i Mondiali sono rimasti nella storia.

Il focus della comunicazione odierna del vino

Oggi qual è il focus della comunicazione del vino?

“A mio parere i punti focali sono quattro:

  1. Le guide cartacee e online che sono un punto di riferimento per gli appassionati
  2. Un iper selezionato numero di blogger e influencer per amplificare la comunicazione aziendale sul web che credo utile, ma solo come conseguenza del resto del lavoro
  3. Le associazioni di appassionati, in particolare i sommelier
  4. Alcuni selezionati eventi a livello nazionale e internazionale.”

Parliamo allora di calcio, non di bubbole isteroidi. Gianni Brera

La moda: da Matilde Serao ad Anne Wintour

Già un secolo prima della nascita ufficiale del giornalismo sportivo in Italia, in Francia si parlava giù di giornali di moda. Ebbene sì, la moda si era già imposta all’attenzione di un pubblico ben delineato – chiaramente, secondo i dettami dell’epoca, le donne – con le sue regole, riviste e stili.

Nata soprattutto come contorno dei quotidiani oppure argomento principe delle riviste femminili, questo genere giornalistico poté affermarsi anche perché tra i pochi che Napoleone lasciava libero da censure. Nonostante fossero perlopiù destinate alle donne, i giornali di moda vengono anche diretti e scritti da uomini e, anzi, in Francia passano per alcune riviste poeti come Mallarmé o scrittori come Honoré de Balzac, probabilmente già consapevoli dello stretto collegamento con le persone che questo tipo di stampa poteva avere.

Sui giornali di moda si può scrivere in modo laico, lontano dalla censura religiosa, parlare di argomenti più frivoli ma con una certa discreta libertà, e permettere alle donne di ottenere ruoli di potere dapprima completamente insperati.

In Italia, i giornali di moda erano spesso inamidati giornali femminili, con pochi contenuti interessanti. Dobbiamo a Matilde Serao, grande frequentatrice dei salotti mondani e della crème della società romana, lo svecchiamento della figura della giornalista femminile nei primi giornali italiani.

Con l’imporsi della moda non più come evanescente questione di stile ma come mercato nel quale far fiorire aziende da centinaia di migliaia di euro, i giornali di moda si sono evoluti rapidamente, spesso sperimentando molto più di altri, anche avvallati da una grande arma a loro vantaggio: la pubblicità.

Stampa generalista vs stampa di settore

Qual è la differenza di comunicazione a giornalisti generalisti o di settore? Quando rivolgersi agli uni e quando agli altri?

“Il giornalista generalista ha bisogno di storie interessanti, di note di ‘colore’ sulla vita del produttore e sulla sua cantina, non sono interessati a polifenoli e cloni! A quelli di settore, oltre a queste notizie che sono comunque fondamentali per comunicare l’anima del produttore e dei suoi vini, bisogna mostrare il lavoro in vigna e in cantina che porta i risultati nella bottiglia. A meno che non siamo di fronte ad un’azienda ottimamente distribuita a livello nazionale, prima di tutto è utile farsi conoscere nel mondo del vino dove i canali di acquisto sono rapidi.

“Chi volesse comprare perché incuriosito da un articolo, se poi non trova il prodotto in modo facile e rapido (troppo spesso le aziende non sono organizzate per vendere tramite sito) l’interesse cambia direzione”.

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Oggi si sprecano – letteralmente – i master, corsi di laurea, scuole specializzate in moda e comunicazione della stessa. Fondamentale, anche in questo settore, è semplicemente un requisito: la passione. L’amore per la moda, lo sforzo costante di capirla e sicuramente di seguirla, la volontà di studiarla per poterla analizzare al meglio, sono innati e necessari per chi vuole lavorare nel campo.

Queste caratteristiche, insieme a quello che dice Anna Wintour, celeberrima direttrice di Vogue: l’arte del cambiamento.

Vogue è una rivista di moda, e una rivista di moda è il cambiamento.

Britannica, ma residente negli USA, Anna Wintour ha dettato sin da giovanissima, pare, le sue regole in fatto di editoria e giornalismo. Esteta, libera e decisamente moderna, la Wintour ha cambiato le regole del gioco in fatto di moda, portandola ad uno stile molto meno vetusto ed elitario, più vicino alle persone, ma non per questo meno glamour, come dimostra l’ampio uso di celebrities nei suoi giornali.

E anche qui sicuramente stile personale (il suo modo di vestirsi e pettinarsi è un marchio di fabbrica) unito alla sua schietta passione – molti sono gli stilisti che le devono qualcosa – ha fatto la differenza.

(Fine prima parte)

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