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Branded entertainment: come coinvolgere il cliente con un messaggio virale

Che cos’è il branded entertainment e quali sono le sue prospettive per il 2020? Nell’articolo di oggi proveremo a darne una definizione.

Per molti si tratta della nuova frontiera del content marketing: un autentico volano di sviluppo per accrescere la visibilità di un marchio, soprattutto in Rete. Il mercato italiano non è nuovo a progetti di sponsorizzazione di un brand in modalità alternative. I dati mostrano che la tendenza è in crescita e ha buone potenzialità di successo. 

Branded entertainment: proviamo a darne una definizione

Con Branded Entertainment (BE) si intende un contenuto, edito da un’azienda, diffuso con lo scopo di intrattenere. Può trattarsi di un video, di un breve film, oppure di una trasmissione radiofonica o televisiva.
A volte viene mostrato il prodotto, in una logica di product placement.

L’informazione pubblicitaria è assente o implicita: chi guarda è soprattutto attratto dalla narrazione. Il primo obiettivo, infatti, è quello di coinvolgere il pubblico e suscitare un’emozione.

Per alcuni osservatori, non c’è una definizione univoca di branded entertainment. Il termine si confonde spesso con branded content, ma non è detto che i due ambiti coincidano. Un contenuto edito da un’azienda va considerato branded content, mentre il BE sembra caratterizzato dall’idea di svago, cioè di un contenuto che cattura, per emozionare o per divertire.

La nascita di questa nuova formula si fa risalire, in modo unanime, ai cortometraggi The Hire, prodotti dal 2001 da BMW. Li ricordate? Erano veri e propri prodotti cinematografici, che mostravano viaggi e corse su una vettura BMW, ma all’interno di una narrazione, sviluppata con la qualità delle riprese e secondo i canoni del settore cinematografico. Motivi, questi, che hanno decretato il successo dei cortometraggi.

Il Branded Entertainment non è content marketing o storytelling

Da allora, gli esempi di contenuti legati a un marchio sono aumentati, in numero e forme. I social media hanno amplificato il fenomeno: un video, oggi, può diventare virale nell’arco di pochi minuti grazie alla condivisione da parte degli utenti.
Le possibilità di far conoscere l’azienda, senza fare pubblicità esplicita, si sono moltiplicate. Ma proviamo a definire, che cosa, secondo noi, non è branded entertainment:

– il BE si avvicina al content marketing, anche se con qualche differenza. Un post sul blog aziendale, con informazioni su quali ricette preparare con il robot da cucina è da considerarsi content marketing, ma non branded entertainment;

– il giornale in Rete di Sorgenia o di Coca-Cola, con articoli e informazioni specifiche per un pubblico selezionato, è ottimo per il marchio e per costituire una comunità, ma si tratta di brand journalism;

– il BE non è storytelling, anche se i suoi contenuti sono storie: fare storytelling aziendale vuol dire applicare schemi narrativi per raccontare l’azienda o un suo prodotto.

Brand e pubblicità: perché nascono nuove formule

Come nasce il branded entertainment? Perché le aziende cercano di farsi conoscere, senza forme di pubblicità tradizionali?
Le motivazioni sono tante, proviamo a dare le principali. Il primo dato è una fase di saturazione dell’attenzione: siamo saturi di messaggi pubblicitari, cambiamo canale per non guardarli e scegliamo di bloccare i banner quando siamo in Rete; siamo talmente abituati tanto da aver maturato una sorta di cecità attenzionale.
L’advertising classico è considerato, ormai, dagli esperti di inbound marketing, un’interruzione: l’utente prova fastidio a vedere interrotta la sua attività per uno spot pubblicitario. I nuovi contenuti cercano, invece, di attirare l’utente sul suo terreno, offrendogli informazioni o esperienze più interessanti.

Il BE, in particolare, vuole suscitare un’emozione, coinvolgere l’utente con una storia che non può fare a meno di seguire.

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Il potere dei video

Branded entertainment non è necessariamente una produzione video, anche se spesso lo troviamo in questo formato.

Il motivo di questa ricorrenza è semplice: i video sono tra i contenuti tutt’ora più fruiti da chi sta sul Web e sui social network. E’ un fatto risaputo che sono il formato privilegiato dall’algoritmo di Facebook e, secondo un articolo pubblicato sul sito di Nielsen Communication, costituiscono circa il 75 per cento dei contenuti del traffico Internet.

Bambini, adolescenti e giovani adulti li preferiscono ai testi scritti, ma i video sono amati anche dagli utenti di Facebook che hanno tra i 35 e i 40 anni. I dati italiani confermano che utenti in età matura guardano ancora molto di frequente la televisione, che è comunque un medium visivo.

Branded content: esempi

Nel 2013 Dove lanciava “Real Beauty sketches”. Nel filmato, un disegnatore ritraeva alcune donne sulla base della loro descrizione di sé. La stessa persona veniva descritta da un conoscente e sulla base di questa seconda versione, il ritrattista faceva un altro disegno.

Qual era il focus del video? Le donne tendevano a essere molto critiche e vedersi meno belle, rispetto al giudizio altrui. Il video divenne virale in poco tempo: la sua forza stava nel messaggio, senza alcun contenuto pubblicitario sui prodotti Dove.
RedBull è un altro caso molto citato di produttore di contenuti branded: qui, il tema è tutto sui valori coerenti con il marchio, come la voglia di esplorare e mettersi sempre in gioco.

In Italia, sono molto noti i video de “Il Milanese imbruttito” e di “Alpitour/Casa Surace”. In entrambi i casi, il successo è garantito da video divertenti, che vengono condivisi dagli utenti perché fanno ridere.

Branded entertainment: perché funziona?

Per molti osservatori, questi nuovi modelli di contenuti avranno un ruolo sempre più importante per la visibilità del marchio. Non è soltanto il prevalere dei video a fare, di questa nuova formula, una carta vincente. Anche gli spot pubblicitari si nutrono di immagini, eppure…

Il branded entertainment ha successo perché è una combinazione felice di molti elementi sempre più condivisi all’interno delle strategie di web marketing:

– i contenuti nascono per emozionare, non per convincere a comprare;

– il focus è sugli utenti;

– l’obiettivo è lanciare un messaggio, al di là della comunicazione di prodotto;

– l’obiettivo è raccontare una storia (come nel caso della serie The Hire).

Il branded entertainment è la conferma che comunicazione aziendale e comunicazione pubblicitaria non possono dimenticare di ascoltare i clienti. Le persone cambiano abitudini, cambiano modo di pensare, cambiano stile e modalità nelle decisioni di acquisto. Se vuole raggiungere il suo obiettivo, il marketing deve sempre rinnovare se stesso.

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